REGGIO CALABRIA Chiuse le indagini nei confronti di Roberto Roccella, il carabiniere in servizio presso il nucleo investigativo, che diventerà il destinatario delle confidenze e delle soffiate di Giovanni Zumbo, ex amministratore di beni sequestrati, nonché antenna dei servizi, sorpreso a fornire informazioni a boss del calibro di Peppe Pelle e per questo condannato a più di sedici anni di reclusione. Un rapporto su cui – stando alle indagini coordinate dal pm Giovanni Musarò e dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri – Roccella non avrebbe detto tutto, né detto tutta la verità.
Un dato emerso in maniera plastica quando il militare è stato ascoltato come testimone al processo Piccolo Carro, ma che per gli inquirenti era già in precedenza divenuto cristallino. Confrontando le relazioni di servizio redatte da Roccella e i tabulati telefonici, gli inquirenti avrebbero infatti provato non solo che il rapporto fra Zumbo e il militare si sarebbe protratto ben oltre quanto dichiarato, ma anche che i due avrebbero attivato due schede telefoniche intestate a una terza persona “in modo da poter comunicare tra loro su argomenti più riservati – si legge nel capo di imputazione oggi contestato al militare – eludendo eventuali operazioni di intercettazione telefonica” .
Un quadro inquietante, ricostruito dagli investigatori confrontando pazientemente quanto messo nero su bianco da Roccella e i tabulati delle due utenze “citofono”, attivate poco dopo il rinvenimento dell’auto arsenale – in cui tanto il militare come Zumbo hanno avuto un ruolo – collocata sul tragitto che avrebbe dovuto percorrere il presidente Giorgio Napolitano, all’epoca in vista in città. Ma a mettere nei guai Roccella non sono state solo indagini tecniche su quelle due utenze – formalmente intestate a “Paola Zumbo – con cui i due erano soliti comunicare”. A pesare sulla posizione dell’indagato, è anche quanto emerso sui suoi rapporti con Zumbo, nel corso della lunga istruttoria dibattimentale del processo Piccolo Carro.
È in quella sede infatti che Antonino Laganà – ex dipendente del colorificio di Zumbo, in seguito divenuto intimo della moglie dello spione, Maria Francesca Toscano – punterà il dito contro il suo ex datore di lavoro, svelando il regolare rapporto di frequentazione che intercorreva fra Zumbo e Roccella. Ma sarà proprio lo stesso Roccella a inguaiarsi. In risposta alle precise domande del pm Musarò – che in sede di udienza gli chiederà conto dei contatti con Zumbo –, il militare non saprà infatti che balbettare spiegazioni incoerenti, in netta contraddizione con quanto affermato nella relazione di servizio da lui redatta. Un documento con cui lo stesso militare afferma che, dopo il 23 ottobre 2010, “ho ritenuto opportuno allontanarmi dalla figura di Zumbo, per cui i miei rapporti con lo stesso venivano ridotti in modo del tutto graduale, anche per non destare sospetti al soggetto”. Un’affermazione smentita dai tabulati che testimonierebbero che i contatti fra Zumbo e Roccella sarebbero continuati ben oltre quella data. Contatti imbarazzanti a cui il militare in sede di udienza non è stato in grado di fornire valide spiegazioni, ma per la Procura in grado di provare il rapporto continuativo e mai interrotto fra lo spione e il carabiniere. Ma a insospettire gli investigatori è stata soprattutto quella serie di telefonate registrate a partire dalle 17,34 del 20 marzo 2010, esattamente al termine dell’incontro fra Zumbo e il boss Peppe Pelle. Non è dato sapere cosa in quelle telefonate sia stato detto, ma di certo quello che emerge è un grado inquietante che gli inquirenti sembrano avere tutta l’intenzione di approfondire. (0020)
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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