Ultimo aggiornamento alle 16:46
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

La scommessa dei clan

COSENZA Tutto avviene alla luce del sole. Eppure il business, in certi casi, è coperto, copertissimo. Ci sono paradisi fiscali a poche centinaia di metri da noi. E si espandono, guadagnano centinai…

Pubblicato il: 10/08/2014 – 6:10
La scommessa dei clan

COSENZA Tutto avviene alla luce del sole. Eppure il business, in certi casi, è coperto, copertissimo. Ci sono paradisi fiscali a poche centinaia di metri da noi. E si espandono, guadagnano centinaia di metri quadri in ogni città, ogni mese. Basta poco: un bancone, qualche addetto che ci sappia fare e decine di fogli appesi alle pareti. Sono le quotazioni delle scommesse. Una visione così comune da non farci più caso. Specie durante i mondiali. Chi arriverà in fondo? Quanto avrebbe pagato puntare su una finale che era la riedizione di Italia ’90, come Germania-Argentina? E il passaggio di turno della Costa Rica: possibile solo per gli intenditori o per i più fortunati? E il morso di Suarez a Chiellini a quanto lo quotano? Bastano un paio di clic per sfidare la fortuna: se va bene, si ripassa il giorno dopo a ritirare il gruzzolo di contanti.
Succede migliaia di volte al giorno, certe scene fanno parte del panorama sociale. Ed è tutto normale, a parte una quisquilia: alcuni di quei posti non sono agenzie di scommesse. E alcuni bookmaker non sono autorizzati. Non hanno i permessi del Viminale. Bisognerebbe chiamarli “Ctd”, e chissà quanti clienti entrerebbero in un “Centro trasmissione dati”, nome assai lontano dal fascino del rischio che circonda le agenzie. Già, perché il compito è esattamente questo: si inviano all’estero gli estremi della scommessa. E all’estero si sposta il business. Che, di solito, va a finire in un paradiso fiscale. I “nostri” pronostici vengono spediti a Malta, oppure in Irlanda. È un guaio per il fisco, che si sta attrezzando per valutare i danni di queste operazioni. C’è già un corposo dossier ai Monopoli di Stato, che individua, regione per regione, il numero delle agenzie irregolari. La Calabria fa la sua parte, anche se – almeno in questa classifica – non occupa le prime posizioni: sono 380 le agenzie regolari e 286 quelle non autorizzate. Sfugge ai controlli, dunque, poco meno della metà di un mercato che è tra i pochissimi in espansione. Mentre tutti i comparti languono e le saracinesche si abbassano, le puntate aumentano. E gli occhi dell’Agenzia delle entrate fissano i “Ctd”. Potrebbero non essere gli unici. Perché la storia dei bookmaker “irregolari” è finita anche in un verbale arrivato negli uffici della Dda di Catanzaro.
È, Silvio Gioia, uno degli ultimi pentiti, in ordine di tempo, del Cosentino a parlare degli affari delle cosche nel settore delle scommesse. Gioia ha deciso di collaborare con la giustizia quando ha capito che una storia di droga – per via della quale aveva accumulato un pesante debito nei confronti della mafia bruzia – lo aveva trasformato in un bersaglio. Alla questione delle scommesse arriva per gradi, nei faccia a faccia con gli inquirenti. Prima, la sua attenzione si ferma ai meccanismi di base della mala cosentina. Gioia spiega che «tra il gruppo Lanzino e gli “zingari” è stato siglato un accordo che consiste in una bacinella unica, che viene suddivisa in parti uguali tra i due gruppi e dove confluiscono tutti gli introiti del malaffare che singolarmente i due gruppi svolgono». È lì che finiscono i proventi delle estorsioni. C’è addirittura qualche commerciante che, secondo il collaboratore di giustizia, porta il proprio obolo mensile a casa del referente della cosca, che si trova agli arresti domiciliari. Il “pizzo da asporto”, poi, finisce nel collettore unico. Ed è lì che i rami dell’azienda ‘ndranghetistica convergono e formano la cassa comune indispensabile per pagare gli stipendi degli affiliati e l’assistenza legale. L’esistenza di un unica bacinella ha un presupposto fondamentale: «In questo momento, a Cosenza, esiste un equilibrio tra il clan degli “zingari”, capeggiato da Maurizio Rango, che fa riferimento, a sua volta, a Giovanni Abbruzzese, (…) e il clan degli “italiani”, facente capo a Ettore Lanzino». Certi equilibri, ancorché fragilissimi, si reggono sui soldi. Come negli anni in cui il via libera alla realizzazione della Salerno-Reggio Calabria fermò i clan sul punto di iniziare una guerra: era troppo succulenta la prospettiva di spartirsi quella torta milionaria e la faida avrebbe attirato l’attenzione dell’antimafia.
Gli affari al primo posto, dunque. E non mancano quelli di “ultima generazione” nel racconto dell’ex rapinatore 30enne. Gioia parla del «sistema dei “siti” per le scommesse che sono collegati a server gestiti» direttamente da uomini posti al vertice delle cosche cosentine: «Tutti i centri scommesse di Cosenza e provincia (si riferisce a quelli che, secondo lui, sarebbero nell’orbita dei clan, ndr) operano su siti denominati comunemente “.com”, pertanto non sono sottoposti ai controlli dei Monopoli di Stato. Tali siti, di proprietà di società che hanno sede all’estero, affidano la gestione, in una determinata porzione di territorio, a un soggetto denominato “master”, che, a sua volta, consente a diversi centri scommesse di utilizzare il sito in questione».
È questo il nodo del sistema: secondo il collaboratore, i master sarebbero prestanome di pezzi grossi delle cosche cosentine. Il resto è un film già noto agli investigatori: il sistema della raccolta dei guadagni si affida a “impiegati” che fanno il giro delle agenzie e recapitano il malloppo al capo. Tutto servirebbe ad alimentare la famigerata bacinella comune. Problemi che si sommano a problemi: come se non bastasse il dilagare delle attività di scommesse esentasse, ci si mette pure l’ombra della ‘ndrangheta. Che ha puntato occhi e denari su un affare potenzialmente a sei zeri. Per aprire una di queste agenzie basta procurarsi una licenza da internet point o, in certi casi, quella da copisteria. Facile. È anche per questo che i centri aprono in continuazione. Sono un business perfetto per i tempi di crisi, offrono la speranza di un guadagno facile e veloce. In realtà totalizzano ricavi enormi. E riescono pure a sfuggire al fisco. È per questo che, a Roma, polizia, Monopoli e guardia di finanza studiano un sistema per arginare la proliferazione dei Centri di trasmissione dati (che, finora, hanno messo a segno una vittoria storica con una sentenza della Cassazione, dopo che un’agenzia ha impugnato il provvedimento che voleva fermarla). Alla task force, già molto nutrita, potrebbero aggiungersi anche i magistrati dell’Antimafia.

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x