La Cgil e Confindustria esistevano in Calabria quando ancora Matteo Renzi doveva nascere ma si è dovuto attendere che diventasse presidente del Consiglio dei ministri per vedere compiersi il miracolo di una Cgil e di una Confindustria “unite nella lotta”.
Renzi è premier da poco più di cinque mesi, grosso modo lo stesso arco di tempo che copre la vacatio democratica della Regione Calabria. Eppure quello di oggi è il terzo viaggio che il primo ministro fa in Calabria: non era mai accaduto prima. Questo deve aver messo in moto un meccanismo perverso e deve avere allarmato moltissimo i cultori del “meglio piccolo ma con me dentro”, perché non vi è dubbio sul fatto che grazie ai disagi e al bisogno ancestrale qui molti hanno costruito carriere non solo in politica ma anche tra le fila di un’imprenditoria piagnona e sussidiaria e tra quelle di un sindacato che ha perso molto dello smalto che aveva negli anni di lotta contro agrari e gabellotti.
Fatto sta che ieri, usando le stesse parole e lo stesso livore, gli stessi termini e le stesse argomentazioni, Cgil e Confindustria hanno invitato Renzi a saltare la tappa calabrese, anzi a non occuparsene proprio. Quasi che tra entrambe le non più contrapposte sponde allignasse lo stesso timore: «Non è che questo intende fare sul serio?».
Reggio Calabria, del resto, non sarebbe nuova a certe performance. In città raccontano ancora della venuta di De Gasperi (altri dicono Fanfani) che si decise di sabotare impedendone il comizio liberando topi e urlando «vogliamo il lavoro». Raccontano anche che l’oratore, infastidito, scelse uno a caso tra i facinorosi che fischiavano sotto il palco, invitandolo a presentarsi l’indomani in Prefettura per avere assegnato un impiego. Il tapino avrebbe reagito con aria sconsolata: «Presidente ‘cca gridanu tutti e vui v’a pigghiati giustu cu mia…». Qui tutti urlano e voi ve la prendete solo con me.
Se questo timore (Renzi intende fare sul serio in Calabria?) è effettivamente nutrito da chi sta coltivando l’obiettivo di scendere in politica alla testa di una nuova “Rivolta”, ovvero da chi il sindacato lo ha usato spesso come anticamera delle elezioni (è sterminato l’elenco dei dirigenti della Cgil che sono poi stati eletti in Senato, alla Camera dei deputati e in consiglio regionale), questa vigilia di Ferragosto sarà davvero indigesta.
Matteo Renzi più che promettere è venuto a riferire. Ha informato che le Omeca avranno commesse tali da assicurare lavoro alla fabbrica almeno fino al 2017; ha informato che i dieci milioni di euro che servono per completare il Palazzo di giustizia sono stati trovati e messi a disposizione del competente Ministero; ha informato dell’utilizzo degli interi investimenti comunitari dei fondi strutturali e, per concludere, ha anche assicurato che il 29 agosto ci sarà la nomina del nuovo commissario per il riordino della sanità calabrese.
Belle notizie per i lavoratori delle Omeca e, più in generale per i reggini e i calabresi. Ma non per tutti. Pensiamo un attimo a quei ricconi che sono diventati iper-ricconi affittando locali agli uffici giudiziari reggini. Neanche il tempo di brindare agli eroi del “modello Reggio” che, dirottando ad altri scopi i fondi a ciò destinati, hanno paralizzato i lavori, e già debbono incassare questo spiacevole annuncio: il nuovo Palazzo di giustizia sarà ultimato, e anche prestissimo!
E giusto per non lasciare spazio alla consolazione, ecco che Renzi prima di andare via da Reggio taglia ogni equivoco sulla data del ripristino della democrazia in Calabria: «Leggo che la vicepresidente ha convocato i comizi elettorali per il 12 ottobre? Per noi va benissimo. Il governo fa sua questa indicazione e collaborerà perché venga rispettata». Se era un bluff, quello della premiata coppia Stasi-Scopelliti, Renzi ha deciso di “vederlo”.
Prenda qualche appunto e impari la lezione il ministro “per grazia ricevuta” Lanzetta: il premier ha trovato il tempo per dare quelle risposte istituzionali che le lettere di Antonella Stasi hanno inutilmente sollecitato alla ministra per i Rapporti con la Regione.
Adesso i malpancisti si sposteranno tra quelli che nel Pd vedono a rischio le primarie del 21 settembre ma se ne dovranno fare una ragione perché la cosa più urgente e ridare a tutti i calabresi il diritto al voto e dare al governo nazionale interlocutori sul territorio che non siano dei clandestini arroccati in Palazzo Campanella a spartirsi nomine e prebende.
Non sappiamo se tutto questo porta acqua al mulino di Ernesto Magorno. Francamente non può importare di meno questa stucchevole diatriba tra conservazione e cambiamento. Se altri hanno lasciato che a premere per la chiusura con una legislatura nefasta e a insistere per una rigenerante autocritica nel centrosinistra fosse il solo Magorno, cavolacci loro. Avranno tempo per pensarci su, godendosi il vitalizio che gli anni del consociativismo d’oro ha messo a loro immeritata disposizione. (0050)
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