LAMEZIA TERME Le “Anime nere” di Calabria sbarcano alla Mostra del cinema di Venezia. Il film di Francesco Munzi è tratto dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco ed è stato fortemente voluto in concorso (esordio il 29 agosto) da Alberto Barbera, il direttore della rassegna lagunare. «Sono rimasto folgorato dal romanzo di Gioacchino Criaco, dalla sincerità, dalla visceralità con cui è scritto», spiega Munzi in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica. La pellicola racconta Africo, paradigma di una Calabria fatta di storie di ‘ndrangheta, omicidi, violenza e sopraffazione. L’opera di Criaco si apre con il racconto di un giovane pastore che con il padre scorta sulle montagne uno dei “porci”, cioè uomini e donne rapiti. “Anime nere”, in sala dal 18 settembre per Good films, racconta di tre fratelli, tre pastori vicini ai clan di ‘ndrangheta. Il più piccolo è un trafficante di droga, un altro è imprenditore a Milano, grazie ai soldi sporchi del primo. Il più grande desidera invece il ritorno alla Calabria delle origini, quasi preindustriale. Ma sarà proprio il figlio del fratello maggiore a far riesplodere una faida che sembrava archiviata. Guerra tra cosche ma anche tra consanguinei. L’altra protagonista del film è Africo. «Tutti, polizia compresa, hanno cercato di dissuadermi: luoghi troppo pericolosi. Io sentivo di dover lavorare sul territorio», dice ancora il regista. Due paesi, Africo Vecchia e Africo Nuova. L’alluvione del ’51 non fece molte vittime, ma il paese montano fu abbandonato, con gli abitanti che si sistemarono sulla costa grazie a baracche di legno e lamiera donate dagli stranieri. «Il paese vecchio era lontano 70 chilometri, irraggiungibile. Non eravamo più nella montagna, non eravamo pescatori, non eravamo più niente», racconta Criaco a Repubblica. L’anima scissa di un popolo, che non è più montano e nemmeno marittimo, che ha perso la sua cifra identificativa, le sue radici. “Anime nere” è stato girato proprio ad Africo, con le immagini che, anziché prodursi in una sorta di apologia del male, provano a mettere a fuoco la crudezza della realtà. Il regista romano tiene al centro del conflitto non la mafia, bensì lo scontro tra fratelli. Una storia a tinte forti, proprio come quella dello scrittore calabrese, il cui fratello Pietro è stato tra i 30 latitanti più pericolosi d’Italia e oggi è detenuto in regime di 41bis. «Da bimbo prima della scuola portavo le bestie al pascolo con mio padre. Ho scoperto i libri, mi sono laureato, sono fuggito per 20 anni. Poi sono tornato e ho scritto, anche per rimorso: sentivo di dover raccontare, senza giustificare, le verità di tanti ragazzini spezzati dal male».
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