PRAIA A MARE (CS) La fine della storia è una sentenza del Tribunale di Paola. La firma il giudice Alberto Caprioli, che restituisce l’Isola di Dino ai cittadini di Praia a Mare. Tutto torna com’era a 52 anni dall’atto di vendita con il quale il Comune l’aveva ceduta all’avvocato Agnelli. Il fascino del jet set e una visione del turismo che avrebbe potuto essere (e non è stato) avevano consigliato quella scelta. Molti passaggi l’hanno snaturata. Gli effetti – una parte di essi – sono nella documentazione fotografica che il Corriere della Calabria è in grado di mostrarvi in queste pagine. Gli scatti arrivano dal primo sopralluogo effettuato dopo la sentenza storica.
Il Comune vuole riappropriarsi di questo “Paradiso perduto”: lo ha trovato in cattive condizioni. Gli appartamenti, in tutto 36, sono fatiscenti. La visita delle autorità cittadine ha censito materiale di risulta, calcinacci, persino automobili in quello che si pensava un angolo selvaggio e, invece, visto da vicino, somiglia – in certe aree – a un cantiere. La strada verso il recupero è ancora lunga e sarà lastricata di burocrazia e carte bollate. Il primo passo è già stato tracciato nella decisione del giudice. E coinvolge anche chi aveva comprato il suo pezzo di paradiso a pochi metri dalla costa, nel Tirreno cosentino. Tutti i proprietari sono stati condannati a risarcire il Comune per cifre comprese tra 361 e 7.966 euro. La società che ha venduto loro gli appartamenti, la Isola di Dino srl, dovrà invece restituire le somme pagate al tempo degli acquisti. Quei soldi torneranno anche nelle casse di Alberto Dell’Utri, gemello di Marcello, ex senatore di Forza Italia. Molto meno famoso del fratello, anche Alberto, qualche mese fa ha guadagnato scampoli di notorietà dei quali avrebbe fatto volentieri a meno. Perché è lui che, intercettato in una conversazione con un imprenditore, ha suggerito involontariamente agli inquirenti l’ipotesi di fuga in Libano messa in cantiere da Marcello.
«Il programma è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene. C’è già stato, la conosce, c’è un grande fermento culturale, per lui andrebbe bene», diceva Alberto Dell’Utri, mentre le cimici piazzate dalla Procura di Roma registravano ogni parola all’interno del ristorante Assunta Madre a Roma. Insomma, per il momento pare che “l’altro Dell’Utri” abbia questioni piuttosto delicate di cui occuparsi, ma prima o poi verrà anche il turno di quella casa sull’Isola di Dino.
Toccherà pure agli altri (ex) proprietari passare all’incasso. Alla Mara srl, società di un notaio cosentino, la ditta che prende il nome dell’isola dovrà restituire «la somma illo tempore pagata», più gli interessi, nei tre contratti siglati nel 1983, nel 1998 e nel 1996. Stesso discorso per i soldi sborsati da un’altra acquirente, Carla Giannotti Servetti, titolare di una ditta di manifatture, che ha comprato un immobile nel 1993. Le cifre sono ancora da stabilire. Di certo c’è solo che anche il Comune di Praia a Mare dovrà risarcire – per 47.530 euro – l’Isola di Dino srl. E che, a sua volta, riceverà dalla società 15.400 euro. È la fine di una partita iniziata molti anni fa, quando Agnelli aveva già rinunciato al “sogno” e altri ne avevano rilevato quote e ambizioni. Ambizioni un po’ diverse da quelle iniziali. Lo dice il sindaco di Praia a Mare, Antonio Praticò. Che apre con una constatazione sul passato: «Quando l’isola è stata venduta dal Comune ad Agnelli, l’idea era quella di lanciare il turismo. Ed era un’idea positiva. I problemi sono arrivati dopo, quando si è passati da logiche di sviluppo a prospettive di puro e semplice sfruttamento del suolo. A quel punto è cambiato tutto e l’isola è diventata come un qualsiasi lotto di terreno da utilizzare per fare business».
La frase riassume più di vent’anni di battaglie giudiziarie, che Praticò ha vissuto dai banchi della giunta comunale, prima come assessore e poi come sindaco. Questi vent’anni partono con una delibera che risale al 1992 e racconta la storia dell’isola privatizzata e degli appetiti concentrati sui suoi crinali scoscesi e sul suo panorama mozzafiato. Il sogno turistico di Agnelli era iniziato con la richiesta – autorizzata nel 1965 dal Comune di Praia a Mare – di costruire 15 villette e un albergo a due piani. Metà di questo progetto si perde per strada, perché la società che gestisce l’isola realizza soltanto 7 villini: il resto – gli altri appartamenti e l’albergo – sparisce. Trascorrono gli anni e l’Isola di Dino (nel senso della società e, anche, del luogo geografico) cambia padrone. Il nuovo proprietario è Domenico Palumbo, imprenditore campano che vorrebbe rimettere in moto l’edilizia in quel fazzoletto di Calabria. E – si legge nella delibera – «inverosimilmente, soltanto in data 10 luglio 1974, presentò un progetto del Comune di Praia a Mare per la costruzione di un complesso residenziale sull’Isola di Dino, per essere sottoposto al parere della Commissione edilizia e per richiedere il nulla osta alla competente Soprintendenza alle Bellezze naturali», questo perché il territorio di Praia a Mare era stato sottoposto a vincolo ambientale nel febbraio 1970. Il commissario prefettizio che amministra la cittadina dice sì al progetto dopo un’istruttoria di soli 15 giorni. È la Soprintendenza a bloccare tutto: lo farà anche il Comune, dopo l’avvicendamento tra il commissario e il sindaco eletto nel 1975. Palumbo ci riprova con una variante, nel 1976, ma la Soprintendenza lo ferma ancora: «Da questa data – ricorda la delibera del 1992 – la società Isola di Dino non ha più riproposto nessuna iniziativa, a eccezione di continui abusi edilizi perpetrati negli anni». Ovviamente, l’imprenditore non è d’accordo con questa analisi. Nel 1986 presenta un’istanza di condono, spiegando che gli abusi risalgono agli anni 60, ma «all’istanza non viene allegata nessuna documentazione, né tanto meno elaborati progettuali». Il nodo dello scontro legale (o, almeno, di uno degli scontri legali) è qui. Il Comune accusa, da anni, l’azienda di aver fatto dell’isola ciò che ha voluto. Il costruttore, da parte sua, se la prende con gli amministratori locali: per colpa dei loro ritardi avrebbe perso i denari investiti e patito anche «l’appannamento della propria immagine sul mercato turistico». Chiede un risarcimento di 21 miliardi di lire, che non otterrà.
Intanto, sull’isola, continuano gli accertamenti della polizia municipale, che rileva «l’ampiamento di 4 villini plurifamiliari, mentre nella pratica di condono viene affermato che le costruzioni sono state ultimate prima del settembre 1967». Arrivano ordinanze di demolizione e pure la politica scende in campo. Si arriva a due interrogazioni parlamentari, una di Laura Cima, dei Verdi, e una di Giacomo Mancini, leader calabrese del Partito socialista. La confusione burocratica attorno alle richieste della società, però, continua: «A tutt’oggi, nonostante la richiesta (di condono, ndr) del 23 maggio 1987, non risulta che la società Isola di Dino srl abbia presentato al Comune il nulla osta paesaggistico-ambientale, né la medesima società ha fatto conoscere al Comune se tale nulla osta è stato richiesto all’amministrazione competente». Di più: dalla documentazione emergerebbe che «vengono riportate opere realizzate che si intende condonare ma che a tutt’oggi non sono state realizzate». Il caos è enorme: i rilievi aerei mostrano una situazione diversa da quella ipotizzata nei grafici allegati al condono, i documenti non arrivano e si teme che sull’isola possa abbattersi una colata di cemento. Il Comune decide di ritenere nulla la richiesta di con
dono. È da questo punto che si riparte adesso. A più di vent’anni da quel “no” e a oltre mezzo secolo dalla vendita, si potrà svelare cosa è accaduto sull’Isola di Dino. E lo scrigno non promette tesori.
Pablo Petrasso
Questo servizio è stato pubblicato sul numero 158 del Corriere della Calabria
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