VENEZIA Non si sfugge al paese d’origine, alle proprie origini, ancor più se sei di Africo, Aspromonte, e sei della ‘ndrangheta e sei andato a fare il criminale a Milano. Bisogna fare i conti con il proprio paese, è lì l’unica cartina di tornasole di quello che davvero sei. “Anime nere” di Francesco Munzi, in corsa per l’Italia al Festival di Venezia, racconta in una prospettiva originale la matrice di certa cultura criminale legata al territorio e, soprattutto, alla famiglia, alla tragedia, alle divinità della natura. Tratto dal libro di Gioacchino Criaco, “Anime nere” (Rubettino Editore) il film racconta la storia di tre fratelli, figli di pastori. Luigi (Marco Leonardi), il più giovane è un trafficante internazionale di droga, un duro che si sente in tutto e per tutto realizzato. Rocco, milanese adottivo, è quello più borghese, fa l’imprenditore con i soldi sporchi della ‘ndrangheta e si è sposato con la borghese Valeria (Barbora Bobulova). Infine, Luciano (Fabrizio Ferracane), il più anziano, è l’unico rimasto ad Africo a coltivare le sue capre. È quello che cerca di allontanarsi di più da quella cultura in cui è immerso. Uno che ha instaurato un rapporto tradizionale con i morti, che cerca un riscatto nonostante tutto. Leo (Giuseppe Fumo), suo figlio ventenne, è il futuro, ma guarda al passato. È uno che crede il padre un debole e così, quando gli capita di poter mostrare il suo coraggio, lo fa con l’impudenza e la stupidità di un ragazzo. Per una banale lite in cui viene messa in discussione l’onorabilità della sua famiglia, Leo comincia a sparare a pallettoni contro un bar protetto dalla famiglia rivale. Poco più di una ragazzata che però fa montare lentamente l’arcaico mondo in cui tutti i personaggi di questa tragedia sono immersi. Divampa l’incendio. Come una macchina del tempo Luigi, Rocco e Luciano, come le loro rispettive famiglie, si ritrovano a dover rispondere a quella cultura di appartenenza in cui è facile venire sopraffatti dalla violenza e dalla morte. Nessuno riuscirà a proteggersi davvero da quella cultura pagana, dionisiaca che li circonda. Nessuno neppure quello che sembra il più sano di tutti, ovvero Luciano che vorrebbe almeno mettere in salvo quel figlio che non lo stima. Francesco Munzi che ha debuttato nel 2004 con “Saimir”, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti. Nel 2008 ha realizzato il suo secondo film, “Il resto della notte”, presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes.
Francesco Gallo
(Ansa)
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