di Paolo Pollichieni
La cabina di regia, voluta da Matteo Renzi per la Calabria, ha affidato a un gruppo di lavoro il compito di concentrarsi sulla questione più spinosa: il porto di Gioia Tauro. Vi lavorano esperti giuridici, chiamati a delineare un diverso assetto di quella autorità portuale e incaricati anche di esaminare i vincoli e gli accordi presi in passato e che ostacolano l’operatività di un porto che Renzi inserisce tra le «dieci opere strategiche per il rilancio economico del Paese» e chi lo ha preceduto, in uno con le autorità politiche regionali, ha di fatto regalato a un gruppo di imprenditori privati. Renzi vuole che il porto torni ad essere di chi lo ha costruito e di chi ne è possessore: lo Stato.
Vi lavorano economisti, chiamati a pianificare i costi economici del suo rilancio e i flussi finanziari intercettabili per affrontarli.
Vi lavorano tecnici delle infrastrutture, chiamati a visionare gli strumenti urbanistici, i masterplan e le infrastrutture presenti, quelle programmate e quelle indispensabili per integrare il porto con il resto del “sistema Paese”.
Vuole, Renzi, che per la metà di ottobre, sul suo tavolo ci sia una relazione con punti di forza, punti di debolezza, interventi da mettere in cantiere e cronoprogramma delle cose da fare per spianare la strada al ruolo che quel porto dovrà assumere nei prossimi anni.
Il sette di novembre il premier scenderà a Gioia Tauro, sarà la sua quarta missione calabrese da quando, vale a dire il febbraio scorso, è diventato primo ministro. Sa che la Calabria resta sempre quella delle “vacche di Fanfani” per cui non intende andare a Gioia Tauro per farsi menare per il naso. Ad esempio, non vuole che qualcuno gli faccia vedere un chilometro di container allineati sulle banchine quasi a testimoniare la grande operatività del porto, quando quelle carcasse metalliche sono lì ad arrugginire immobili da anni. Perché anche questo avviene a Gioia Tauro: un pezzo di banchina del porto più importante d’Europa ridotto a piazzale dove immagazzinare vecchi container che su altri porti intralcerebbero il lavoro. Lo sanno tutti: dalle autorità portuali ai sindacati, dai lavoratori ai politici, dalla Regione al Ministero. Ma Renzi lo ha saputo per vie sue.
Ecco, Renzi è convinto che la prima cosa da fare è smetterla con l’elogio del transhipment. Non è quello il futuro di Gioia Tauro e non è quello l’interesse della Calabria e dell’Italia. Si astenga il commissario straordinario Giovanni Grimaldi dal ripetere il pistolotto che recita a tutti i visitatori illustri. Da ultima la ministra Maria Carmela Lanzetta che il due settembre scorso si è materializzata a Gioia Tauro per una «visita privata». E già qui viene da interrogarsi cosa significherà mai che un ministro va in una grande infrastruttura ma precisa che lo fa in «visita privata», quasi che fosse quel porto un museo. O forse è proprio quello Gioia Tauro: un museo degli orrori e degli errori. Eppure sprezzante del ridicolo il comunicato ufficiale stilato al termine di quella visita privata, recita che: «Nel corso dell’incontro, il titolare degli Affari regionali ha potuto toccare con mano le peculiarità del porto di Gioia Tauro illustrate dall’ingegnere Grimaldi che ha sottolineato l’importanza dello scalo, primo hub di transhipment a livello nazionale e tra i principali nel circuito internazionale dei traffici nel Mediterraneo».
Misteriosa, anche nei confronti della lingua italiana, la dichiarazione che nel comunicato ufficiale viene accreditata alla Lanzetta: «Conoscevo, chiaramente, il porto di Gioia Tauro, visitandolo personalmente ho avuto modo di constatarne la sua imponenza e la sua strategicità. Il mio impegno è, certamente, rivolto alla sua valorizzazione in ambito governativo perché nutro la ferma convinzione, pienamente condivisa a livello centrale, del valore della sua missione rivolta allo sviluppo economico non solo della Calabria ma dell’intero Mezzogiorno». Un po’ di umiltà non guasterebbe, dire che la sua convinzione è quella «pienamente condivisa a livello centrale», fa pensare a un povero Renzi relegato al ruolo di ministro del Governo Lanzetta…
Meglio Antonella Stasi che, assieme alla sua «giunta imbullonata» (la felice definizione e di Giannantonio Stella) preferì disertare l’incontro con Renzi per parlare dello sviluppo di Gioia Tauro. Gli impartì una lezione il suo compagno di schieramento Peppe Raffa, presidente della provincia di Reggio Calabria: «Il diritto-dovere di rappresentanza non è subordinato agli umori, alle antipatie o alla contrapposizione politica. Il rispetto tra e delle istituzioni prescinde dal colore politico degli uomini che li rappresentano. Per questo sarò a Gioia Tauro per incontrare il premier Matteo Renzi, al quale voglio e devo rappresentare la drammatica situazione sociale, economica e occupazionale di una terra vittima delle politiche assistenzialistiche dei governi centrali e dalla precarie strategie locali incapaci di programmare vere occasioni di sviluppo». È una sottolineatura, quella di Raffa, ancor più calzante se si pensa che lui milita in Forza Italia, partito all’opposizione, mentre la facente funzioni Stasi aderisce a Ncd che vota la fiducia al governo Renzi in cambio di un bel po’ di ministeri.
In verità Raffa fece di più, incontrando Renzi gli consegnò un promemoria sulle priorità del porto di Gioia Tauro e un progetto integrato di produzione e logistica ferroviaria da finanziare con un “Contratto di sviluppo”. Quest’ultimo è stato subito girato al presidente di Invitalia Domenico Arcuri, mentre il documento sulle priorità del porto e l’area di Gioia Tauro è stato preso in consegna dai collaboratori del presidente del Consiglio. È l’unico contributo che gli esperti messi a lavorare da Renzi su Gioia Tauro hanno ritenuto utile e meritevole di approfondimenti. (0050)
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