REGGIO CALABRIA Continua a collezionare severe richieste di condanna il boss Pasquale Libri. Per lui, imputato di associazione mafiosa e altri reati al processo Cosmos, il pm Massimo Baraldo ha chiesto una condanna a 8 anni di carcere. Quattordici sono invece gli anni di reclusione chiesti per l’imprenditore Edoardo Mangiola, insieme a lui accusato dl responsabile delle estorsioni che il clan Libri aveva imposto alla ditta Bentini, impegnata nei lavori per la costruzione del nuovo tribunale. Il clan – hanno accertato le indagini – non solo aveva obbligato la ditta a stipulare contratti di fornitura di servizi in via esclusiva con aziende e società riconducibili al clan, ma anche ad assumere operai legati anche alla cosca Serraino, regolarmente retribuiti senza mai essersi presentati in cantiere.
Un business a perdere, imposto alla Bentini con il terrore. «Non posso più uscire di casa… A casa la sera, ieri, tre persone!… Ho dovuto mettere… perché poi ho avuto un’altra… mi hanno mandato a chiamare un certo Libri! Pare che sia il capo della cosca locale! Mi ha detto solo che mi vuole parlare perché lui fa le mense aziendali e sarebbe interessato a mettere una mensa in questo cantiere!»: sono queste le frasi disperate del responsabile del cantiere della Bentini Spa, Umberto Liguori, che gli inquirenti hanno ascoltato nel corso delle indagini.
A mettere gli inquirenti sulle tracce dei Libri, è stato l’incendio del 3 gennaio 2008 ai danni del Bar Millevoglie, andato completamente distrutto, appena completati i lavori di ristrutturazione. Nonostante il titolare avesse ossequiato le ditte della zona, roccaforte dei Libri, affidando loro i lavori, il clan non aveva gradito i propositi del titolare del bar distrutto, di avviare un servizio di tavola calda. Un business che avrebbe complicato non poco del vicino e diretto concorrente bar “Senza Tempo”, gestito da Edoardo Mangiola. Per gli inquirenti, è lui il reale collettore dell’estorsione ai danni della Bentini, cui i Libri avevano imposto di affidare il servizio mensa proprio al Senza tempo. Un quadro accusatorio confermato dalle rivelazioni di due nuovi collaboratori, Tiziana Ventura, l’ex moglie di Mangiola, e il giovane amante di lei, Umberto Paviglianiti. Ascoltata a poco più di un anno dall’esecuzione dell’operazione Cosmos, la donna – nonostante la paura di ritorsioni – ha deciso di collaborare con i pm. «Sono stata molto combattuta e frenata dalla paura che l’eventuale ritrovamento delle armi fosse a me addebitato e quindi sarei potuta essere oggetto di ritorsione. La stessa paura adesso che sto riferendo questi fatti anche se sono insieme alle forze dell’ordine». Una paura che il colloquio con il marito aveva solo alimentato: «Ho verificato ed esistevano questi due zaini, uno piccolo e uno un po’ più grande. Ho sbirciato all’interno di uno zaino e ho potuto notare la parte posteriore di una pistola. Sono rimasta molto agitata della circostanza e al successivo colloquio Edoardo mi ha detto [omissis] poiché non vedevo l’ora di sbarazzarmi di quelle situazioni che mi agitavano non poco, tanto è vero che quando ho parlato con [omissis] questi mi ha detto che sapeva dove si trovavano gli zaini, pertanto gli ho dato le chiavi dicendogli che non volevo saper niente di queste cose e quando lui con fare minaccioso mi chiese se avessi visto cosa vi era all’interno degli zaini ho negato facendogli quindi credere che non sapessi nulla».
Più precise, circostanziate e potenzialmente devastanti sono – almeno allo stato – le dichiarazioni del compagno, Umberto Paviglianiti che proprio in merito a quegli zaini agli inquirenti dirà: «Un giorno mi recai con Edoardo nel complesso adiacente al bar ove l’uomo aveva la disponibilità di alcuni garage che doveva liberare. All’interno di uno di questi, nascoste tra uno scooter ed il muro, vi erano delle armi sistemate dentro uno zainetto. Il Mangiola aprì il contenuto e vidi chiaramente due pistole e un fucile a canne mozze. Vidi anche un panetto, ma non so precisare cosa potesse contenere». Ma questa non era l’unica attività illecita in cui sospettava fosse coinvolto l’amico: «Una volta Edoardo mi portò in officina uno scooter Vespa di colore rosso, chiedendomi di verniciarlo con altro colore in fretta e furia, senza alcuna accortezza, ho quindi presunto potesse trattarsi di un veicolo utilizzato dal Mangiola per attività strane».
Circostanze che non hanno stupito più di tanto l’uomo – coinvolto in un piccolo traffico di droga gestito da Mangiola – ma all’epoca incapace – a suo dire – di immaginare la caratura criminale di colui che almeno formalmente era il semplice proprietario di un bar. A illuminarlo sarebbe sarebbe stato Claudio Bianchetti, anche lui oggi imputato nel procedimento Cosmos.
A Bianchetti, Paviglianiti avrebbe confidato di aspirare ad aprire un’autocarrozzeria e proprio in quell’occasione avrebbe ottenuto consigli – o meglio istruzioni – precise: «Mi disse che era opportuno parlare di questa mia intenzione con Mangiola Edoardo, che era suo compare. Nessuno mi disse apertamente che il Mangiola era il referente di zona, ma per come ho successivamente compreso in virtù della sua frequentazione, posso oggi affermare che il Mangiola era referente di quella zona per la cosca Libri».
E sarà proprio lui a proporgli l’ingresso formale nella ‘ndrangheta: «Mi disse che avrebbe avuto piacere di farmi “un fiore”, seppure non sia stato esplicito ho compreso chiaramente che con detta espressione gergale questi vuole essere iniziarmi nel percorso della ‘ndrangheta. […] Io risposi seccamente ad Edoardo: “Tu così mi vuoi bene?” e l’uomo sorridendo mi rispose che ne avremmo parlato più in là».
a.c.
x
x