REGGIO CALABRIA Torna in aula il processo processo d’appello bis per l’omicidio Congiusta, il procedimento che aveva identificato nel boss Tommaso Costa il mandante dell’omicidio del giovane imprenditore sidernese, ma che la Cassazione ha rinviato all’esame di una nuova Corte d’assise d’appello. Un dibattimento reso ancor più complesso dalla riapertura dell’istruttoria decretata dai giudici reggini, che già prima della pausa estiva si erano visti sfilare davanti i testimoni che, per pubblica accusa e difese, potrebbero fornire elementi decisivi per arrivare ad un giudizio definitivo sull’omicidio. Se mesi fa erano stati il commissario di Siderno Rocco Romeo e l’ispettore Vincenzo Cortale a salire sul banco dei testimoni, oggi è toccato all’ex vice dirigente del commissariato di Siderno, Francesco Giordano, all’ispettore Vincenzo Verduci, e al pentito Vincenzo Curato, rispondere alle domande del pg Francesco Scuderi e delle difese. Incalzato dalle domande del pg, Giordano ha ripercorso le attività investigative relative alla pista dell’usura – in una prima fase battuta dagli inquirenti – negando che siano mai emersi elementi che facessero pensare che l’omicidio del giovane imprenditore potesse essere riconducibile a quell’ambiente. Un buco nell’acqua – ha riferito invece Verduci – è stata anche la pista passionale. Stando a quanto riferito dall’ispettore, infatti, nonostante per mesi il più stretto entourage di Congiusta sia stato tenuto sotto stretta osservazione, non è mai emerso alcun elemento che potesse far pensare a una matrice diversa da quella mafiosa. Dichiarazioni che si incastrano perfettamente con quelle di altri uomini della pg chiamati nel corso del tempo a riferire sulle complesse indagini sull’omicidio del giovane, mentre più delicata e – forse – determinante potrebbe essere stata la testimonianza del pentito Vincenzo Curato. Noto come “Vicienz ‘u Cassanisi”, Curato, malacarne al soldo delle ‘ndrine di Corigliano, nel 2007 ha provato a sfondare nel mondo del crimine mettendo a segno una serie di clamorose rapine in alcune banche del Nord Italia, prima di essere arrestato per ordine della Procura di Rossano, con la quale nel giro di poco tempo ha iniziato a collaborare. Da pentito, Curato non solo ha confessato una serie di omicidi, ma ha anche riferito che Giuseppe Costa, detenuto insieme a lui presso il carcere di Prato, avrebbe aiutato il fratello – il boss Tommaso – a occultare il proprio coinvolgimento in un omicidio consumato nella Locride. Un dato che si incastra con le risultanze investigative e processuali che vogliono Tommaso Costa responsabile dell’esecuzione di Pasquale Simari e Gianluca Congiusta, ma che anche oggi è rimasto monco dell’elemento determinante: indicare per quale dei due delitti il pentito Costa avrebbe protetto il fratello. Di certo però, la testimonianza di Curato potrebbe servire ai giudici per valutare l’attendibilità di Giuseppe Costa, chiamato a deporre insieme al nipote Francesco il prossimo 29 settembre.
Sarà dunque solo al termine delle nuove testimonianze che la Corte d’assise d’appello sarà chiamata a emettere un giudizio definitivo sull’omicidio del giovane imprenditore sidernese. Nel marzo 2013, i giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria avevano identificato in Tommaso Costa il mandante dell’omicidio di Gianluca Congiusta, vittima innocente della strategia con cui il boss puntava a strappare ai rivali Commisso l’egemonia criminale, conquistata negli anni sanguinosi della faida di Siderno. Una guerra che aveva visto la famiglia Costa perdere uomini, territorio e ricchezze, ma non soccombere, e ripresentarsi anni dopo con il volto e la mente di Tommaso Costa, determinato a tessere una rete di alleanze con i clan emergenti, destinata a mettere in difficoltà la consorteria rivale dei Commisso. Una strategia segreta, e che tale doveva restare, fino a quando il nuovo cartello non fosse stato pronto allo scontro. Per questo la determinazione di Gianluca a rivelare il contenuto della lettera estorsiva, inviata dai clan dell’emergente cartello al suocero, andava fermata. Per questo Gianluca doveva essere eliminato. I Commisso non potevano e non dovevano capire cosa Costa stesse architettando, ma soprattutto nessuno, nel regime di terrore imposto dall’emergente boss, doveva permettersi di trasgredire al suo volere. Per questo, la sera del 24 maggio del 2005 Gianluca Congiusta è stato ucciso con un unico, devastante, colpo di pistola alla testa. Questa la tesi della Dda di Reggio Calabria che ha convinto tanto i giudici di primo come di secondo grado, ma che non ha superato lo scoglio della Cassazione.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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