VIBO VALENTIA «Pienamente condivisibile l’allarme dei magistrati reggini sui rischi d’inquinamento mafioso del voto per la Regione. Non vorrei, tuttavia, che l’operazione ‘voto pulito’ ricadesse tutta sulle spalle di questi magistrati coraggiosi e delle forze dell’ordine, cui ovviamente dobbiamo sempre essere grati per i sacrifici e la dedizione al lavoro. Forse è bene chiarire che il voto pulito interessa tutta la Calabria per via dell’urgenza di avere finalmente una classe dirigente e burocratica affrancata da condizionamenti criminali». È quanto si legge in una nota dell’imprenditore Pippo Callipo, già candidato alla presidenza della giunta regionale nel 2010.
«I cittadini, in sostanza, a incominciare da noi imprenditori, debbono assumersi le proprie responsabilità. Questo voto alla Regione, in questo momento storico – aggiunge l’imprenditore – di grandi difficoltà per il Paese e di fronte a una disattenzione totale da parte della politica nazionale verso quanto accade in Calabria è vitale per il futuro di tutti noi». E anche nella società civile Callipo coglie «le stesse resistenze al cambiamento che ho verificato nel 2010, quando ho voluto provare a scardinare il meccanismo di ferro che tiene in vita politici intramontabili e nuclei di potere economico consolidati. Se ai rischi d’inquinamento del voto di un certo tipo, come segnalano i magistrati reggini, si aggiunge – prosegue Callipo – una resistenza all’innovazione della politica, cosa che si sta puntualmente verificando, io credo che non solo non avremo un voto pulito e libero, ma lo stesso futuro della Calabria rimarrà fortemente ipotecato».
«Forse su questi aspetti, il premier Renzi e soprattutto gli esponenti del Movimento Cinque Stelle, cui va riconosciuta nonostante le tante contraddizioni una forte carica di cambiamento, farebbero bene a riflettere meglio. A meno che da Roma – è la conclusione dell’imprenditore – tra i vertici nazionali della politica, a partire dal Pd per finire a Grillo, la Calabria, per le sue polemiche interne e il suo fardello di emergenze sociali che si porta dietro da decenni, non sia considerata ormai una vera e propria regione canaglia. Una regione insomma di cui non occuparsi, e dove mandare soltanto, quando proprio non è possibile stare fermi, luogotenenti frettolosi e privi di ogni conoscenza delle dinamiche del territorio».
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