di Paolo Pollichieni
Quando Matteo Renzi, il 14 agosto scorso, incontrando le istituzioni locali nella Prefettura di Reggio (non la Regione Calabria che ha deciso di disertare in blocco l’invito del premier, quasi che non fosse invece suo dovere istituzionale regolarsi esattamente al contrario), ha annunciato che le Omeca (Officine meccaniche calabresi) di Reggio Calabria non solo non avrebbero chiuso i battenti, ma anzi avevano ricevuto commesse fino al 2017 e stavano per entrare in un piano di potenziamento industriale, nessuno ha mosso un muscolo. Anche nei giorni successivi, ed ancora oggi, c’è un grande silenzio, parrebbe addirittura un imbarazzato silenzio, attorno all’annuncio del primo ministro. Come mai tanta ritrosia? Per anni si è paventata la chiusura di quell’unica realtà industriale reggina. I giornali locali ciclicamente venivano invasi da ondate di indignate esternazioni politiche e veementi denunce sindacali. Per non dire delle decine di interrogazioni parlamentari e ordini del giorno votati all’unanimità con i quali: si impegnava…, si contestava…, si stigmatizzava… e via dicendo. La destra reggina, sempre assillata dal dover indicare un nemico alle porte pronto allo scippo e allontanare così l’attenzione dalle sue responsabilità dentro le mura, accusava i governi di centrosinistra di voler chiudere le Omeca a vantaggio della gemella azienda di Pistoia. Nell’ultimo biennio, poi, si è assistito al balletto di voci (in verità tutt’altro che infondate) che davano addirittura per imminente la cessione di AnsaldoBreda ai francesi. Poi ti capita quel toscanaccio di Renzi, ti spiattella sotto il naso parole chiare e inequivocabili, forse giova ripeterle testuali per come dette in Prefettura: «Ho il piacere di annunciarvi che l’azienda Omeca ha ordini e lavoro per tutte le donne e tutti gli uomini occupati ora sino a tutto il 2017. Prima di venire qui, ne ho parlato con Mauro Moretti (amministratore delegato di Finmeccanica del quale Ansaldo- Breda e quindi il gruppo Omeca fa parte, ndr) e non ci saranno problemi di chiusura dello stabilimento – concludeva Renzi – in questo senso l’impegno del governo è assoluto». Insomma, il premier porta una così lieta novella e tutti ammutoliscono? E quando si dice tutti, si vuol dire proprio tutti: sindacalisti e uomini del Pd per primi. Nessuno che chieda lumi, nessuno che esterni un qualsivoglia sentimento: soddisfazione, incredulità… Nessuno che ricorra, magari, alla facile ironia: l’esternazione di Renzi è arrivata nel cuore di Ferragosto, sarà stato un colpo di sole. Non sarà che l’iniziativa del capo del governo ha colto tutti di sorpresa? Eppure, come vedremo nei vari servizi che in questo numero dedichiamo alle Omeca di Reggio Calabria, già negli ultimi tre mesi erano passati sotto silenzio altri concreti segnali che qualcosa si stava muovendo attorno alla fabbrica di Torrelupo. Mentre tutti stavano sotto l’ombrellone o a tramare per conservare la poltrona, ovvero a pianificare strategie per conquistarne una nuova, il 26 luglio dallo stabilimento Omeca partiva il primo convoglio della nuova metropolitana di Milano. Interamente realizzato a Reggio Calabria. Brutto colpo per Salvini, sapere che i tanto vituperati calabresi costruiscono quel gioiellino “open space” che porterà i cittadini del capoluogo lombardo da una parte all’altra della loro metropoli. E ci può stare. Brutto colpo anche per un asse politico-sindacale che oltre a lacrimare come Madonne in tempo di carestie, non pare sappiano fare molto altro. E questo non ci può stare. Soprattutto alla vigilia di un appuntamento che potrebbe essere storico per la Calabria e per le Omeca. Nei nostri servizi di copertina cercheremo di spiegare di che si tratta. Torneremo al futuro di Gioia Tauro e alla possibilità di restituire quel porto agli interessi dei calabresi e degli italiani, più che delle multinazionali elvetiche che lo hanno di fatto privatizzato. Torneremo all’alta velocità e qui incastriamo il futuro delle Omeca, il loro presente e la loro travagliata storia. Senza rinunciare all’amarcord. Tornando anche col pensiero a quando Italo Falcomatà proprio alle Omeca andava per i suoi pellegrinaggi laici. L’ultimo pochi mesi prima di morire quando, lasciata per una manciata di giorni la camera sterile di Ematologia, andò dritto a Torrelupo, per salutare i compagni delle Omeca che tanto gli erano stati vicini nella buona e nella cattiva sorte.
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