REGGIO CALABRIA Due anni e sei mesi di reclusione più un anno di interdizione dai pubblici uffici: così il Tribunale presieduto da Mattia Fiorentini ha deciso di punire l’ex cancelliere giudiziario della Corte d’appello di Reggio Calabria Agatino Consolato Guglielmo imputato per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento in favore del cugino, l’ex consigliere regionale Santi Zappalà, arrestato nel dicembre 2010 perché sorpreso a parlare di voti a casa del boss Giuseppe Pelle, a Bovalino.
Il Tribunale ha dunque accolto in pieno la ricostruzione del pm Giovanni Musarò secondo cui il cancelliere avrebbe avuto un ruolo nell’affaire Zappalà, il politico che oggi attende un nuovo processo d’appello che ne ridetermini la pena, dopo che la Cassazione ha bocciato l’aggravante mafiosa che appesantiva le accuse di corruzione elettorale per cui aveva rimediato due anni e otto di condanna. Guglielmo infatti non solo, si sarebbe interessato alla situazione giudiziaria del cugino, ma avrebbe anche messo in guardia i parenti, paventando loro la possibilità che fossero state disposte intercettazioni a loro carico.
Accuse respinte al mittente dal diretto interessato anche nel corso del dibattimento quando – dopo aver chiesto e ottenuto di rendere spontanee dichiarazioni – ha tentato di giustificare i contatti telefonici con il cancelliere del gip Roberto Carrelli Palombi – all’epoca titolare dell’inchiesta sul cugino, affermando «chiamavo solo per sapere la tempistica di quest’istanza, ma né a lui né a nessuno ho mai chiesto nulla di più. Non ho mai fatto nulla, non ho mai violato la legge». Affermazioni che non hanno convinto i giudici, come poco credibile sembra essere stata ritenuta la testimonianza dell’ex presidente del Tribunale Franco Pontorieri, per il quale il collegio ha disposto la trasmissione degli atti in Procura per falsa testimonianza. Un’ipotesi che il pm Musarò aveva già profilato nel corso del dibattimento, di fronte agli innumerevoli “non ricordo” con cui l’anziano magistrato aveva tentato di disinnescare le domande della pubblica accusa, negando qualsivoglia intervento per fare scarcerare il consigliere regionale.
Ma per la Procura, è lui il “presidente” cui si sarebbe rivolto il cancelliere Guglielmo chiedendo un intervento in favore del cugino Zappalà. Circostanza che i pm hanno desunto dai colloqui registrati in carcere fra l’ex consigliere e i familiari, ma che nell’impostazione dell’accusa troverebbe conferma nei tabulati di Pontorieri che riportano sia 69 contatti telefonici fra l’alto magistrato – oggi in congedo – e il cancelliere, sia contatti con il gip Carrelli Palombi, che all’epoca aveva emesso l’ordinanza di custodia cautelare. Contatti che si intensificano e si intrecciano – hanno rivelato le indagini – in concomitanza con la decisione sull’istanza di scarcerazione presentata dai legali che assistevano Zappalà, quando stando ai tabulati ci sarebbero state fino a sei telefonate incrociate tra Pontorieri, Guglielmo e Carrelli Palombi. Un’interpretazione respinta al mittente da Pontorieri, che ha negato qualsiasi contatto anomalo con i due, giustificando le telefonate con Carrelli Palombi in nome di un antico rapporto di amicizia con il padre, e quelle con l’ex cancelliere con un quasi paternalistico supporto al più giovane Guglielmo, cui avrebbe addirittura consigliato, nei giorni i cui gli avvocati di Zappalà si accapigliavano sull’opportunità di far dimettere o meno il consigliere regionale, di far dimettere il politico. Una versione che non ha convinto né il pm Musarò, né i giudici e che adesso toccherà alla Procura valutare.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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