Di seguito pubblichiamo integralmente l’intervento di Luciano Regolo apparso sul blog l’orasiamonoi
Tra le cose che più fanno sentire isolati e favoriscono la rassegnazione c’è l’indifferenza. Di quest’ultima noi giornalisti dell’Ora della Calabria stiamo pagando tuttora e in modo serio le conseguenze. Denunciando pubblicamente con il sostegno della Federazione nazionale della stampa e del Sindacato Giornalisti Calabria ogni scorrettezza subita nel corso di una liquidazione, a dir poco anomala, della nostra casa editrice, ci siamo adoperati anche perché venisse aperto presso la Prefettura di Cosenza un tavolo di trattativa con il liquidatore, Giuseppe Bilotta, che è anche il commercialista perito di parte nel processo che ha portato alla confisca di beni per 100 milioni di euro a Piero Citrigno, padre di Alfredo, il nostro ex editore. In diverse sedute, davanti al prefetto Tomao, Bilotta ha assunto impegni che poi ha puntualmente disatteso. Dallo scorso luglio sollecitiamo personalmente, noi e Carlo Parisi, vicesegretario nazionale nonché segretario regionale Fnsi, la prefettura perché riapra il tavolo di trattativa, anche per fornire ufficialmente alle rappresentanze sindacali, come dovuto per legge, notizie precise sulle nostre spettanze (non riceviamo alcuno stipendio da marzo) e sui crediti eventualmente acquisiti durante la liquidazione societaria che oramai va avanti da nove mesi. Ma dalla prefettura non arriva alcuna risposta. È curioso perché lo stesso viceprefetto mi aveva chiesto di avvertirlo nel caso in cui Bilotta non avesse fornito le informazioni convenute. Informazioni che non sono mai arrivate: dal liquidatore non ne riceviamo alcuna da mesi.
Se non fosse stato per la Fnsi che ci ha anticipato dal Fondo di solidarietà le mensilità di cassaintegrazione maturate dal 16 giugno al 30 di agosto noi saremmo nello stato di più assoluta indigenza, uno stato che evidentemente agevola l’arrendevolezza, porta allo sfinimento, alla considerazione, errata eppure umana, che tanto alzare la testa non serve a nulla.
L’indifferenza delle istituzioni, in comunità, dove si consumano censure e altre irregolarità clamorose, come quelle che noi abbiamo più volte denunciato, è la principale responsabile di questa mentalità che alla fine penalizza e scoraggia ogni serio rinnovamento nella palude stagnante della Calabria. La Prefettura tace, il prefetto, rappresentante a Cosenza di un governo che dice di voler “rottamare” un passato di corruzione e illegalità, non risponde.
Ma questo non è, purtroppo, il solo silenzio che stiamo riscontrando. Con fermezza il Cdr, Parisi, io stesso abbiamo più volte invocato pubblicamente l’intervento della Procura di Cosenza, alla quale per altro abbiamo anche inoltrato formale esposto, perché venisse fatta chiarezza sui lati oscuri di questa liquidazione che va avanti da 9 mesi: Bilotta che davanti al prefetto Tomao aveva annunciato lo scorso giugno di dover, in ossequio alla legge, portare i libri contabili al tribunale fallimentare, in realtà non ha fatto nulla del genere. È forse cambiata la legge? Com’è possibile che un’azienda sia ancora in vita se non salda alcun debito né intasca alcun credito?
De Rose, lo stampatore protagonista della telefonata minatoria dell’Oragate nonché del falso blocco delle rotative per impedire l’uscita della notizia relativa all’apertura di un’indagine sul figlio del senatore Gentile, dopo aver scritto una lettera in cui chiedeva l’immediato saldo dell’enorme credito maturato nel 2013 (oltre seicento mila euro) si è posto come acquirente della testata. Di fronte alla resistenza dell’intera redazione verso una simile, inaccettabile eventualità, non invoca più il suo credito, non fa alcun decreto ingiuntivo. Secondo quanto dichiarato da Bilotta, sempre presso la prefettura, noi giornalisti avremmo ricevuto le mensilità di aprile e maggio in tempi brevi poiché la C&C, avrebbe dovuto incassare un assegno di 100mila euro da parte di Ivan Greco, il concessionario pubblicitario e socio della stessa casa editrice, e un’altra somma di pari importo che Alfredo Citrigno aveva stornato dal nostro bilancio a quello di un’altra delle sue aziende operanti in campo sanitario. Cosa ne è stato di questi crediti? È giusto che si portino alla fame dei giornalisti che hanno già subito vessazioni e bavagli da vero e proprio regime dittatoriale?
Nei primi mesi della mia direzione la Procura di Cosenza stava indagando sulle continuità editoriali nelle varie aziende messe su da Citrigno di fallimento in fallimento. In tutti questi casi lo stampatore restava sempre De Rose, che pure era il principale creditore delle aziende fallite. Non risultano invece in corso indagini sulla nostra situazione. Il giovane Alfredo Citrigno, secondo quanto raccontatomi da un giornalista, un paio di settimane fa, a una festa privata di un politico cosentino di Forza Italia, avrebbe annunciato elettrizzato di non aver affatto intenzione di “mollare l’editoria”, di avere anzi pronta un’idea per il territorio cosentino. Tanto da chiedere il numero di telefono a questo collega che mi ha raccontato il tutto. Dobbiamo aspettarci altri sinistri deja-vu?
Dubbi e sospetti a parte è intollerabile che nessuno intervenga quando Alfredo Citrigno, come riferito dallo stesso liquidatore, senza avere alcun titolo quale ex editore di una casa editrice in liquidazione, un giorno dopo l’annuncio da parte nostra della cessata occupazione della redazione centrale, ha ordinato di cambiarne la serratura senza neppure avvertire i giornalisti.
Il mancato intervento fa aumentare la percezione che sussista per certe persone l’impunità, la facoltà di arrogarsi diritti che non esistono e di coltivare “accorduni”, intese ai confini della legalità che vanno a mantenere inalterato lo status quo di prepotenze e logiche clientelari.
Nei silenzi scoraggianti vale la pena di rammentare anche quello della Regione e degli altri enti locali. La Stasi, scopellitiana fino al midollo, troppo presa con la sua giunta dalle nomine dell’ultima ora, parlò a suo tempo in difesa di Gentile, ma ovviamente non proferisce parola su una situazione così grave consumatasi ai danni di un gruppo di giornalisti calabresi, anzi anche lei era tra quelli che come l’ex presidente Peppe, vedevano con favore la ricandidatura di De Rose, oggi rinviato a giudizio per violenza privata dopo il falso blocco della rotativa, ai vertici di Fincalabra, la principale finanziaria regionale. Il sindaco del capoluogo, Sergio Abramo, corifeo del “veni-trovami” pensiero, una frase registrata e diffusa anni fa dalla trasmissione “Pane e Politica”, che la dice lunga sul suo modo di gestire la cosa pubblica, anche lui elogiatore mediatico di Gentile dopo l’effimera nomina del senatore a sottosegretario, osserva lo stesso silenzio.
Far finta che il problema non esiste, aspettare il naturale oblio: questo è l’obiettivo di un meccanismo che purtroppo sto vedendo diffuso e radicato come un cancro nella Calabria, la mia terra, la terra della mia mamma e del mio papà che mi hanno dato i valori in cui credo. Ma è per questi valori molto forti e diffusi fra tanti calabresi, che tuttavia non hanno voce in capitolo nelle maglie create da un sistema di potentati tanto oscuri quanto granitici, che né i miei colleghi né io ci arrendiamo. Abbiamo chiaro qual è il senso della nostra sfida, siamo pronti a lottare con ogni energia per tornare in edicola con un nostro giornale e s’illude chi pensa di sfinirci o piegarci con i soliti mezzi. Una terra dove si lasciano dimenticare i soprusi, è una terra dove il sopruso non verrà mai fermato. Forti del sostegno sindacale e dell’appoggio di tutta una fertile e vigorosa comunità civile siamo consapevoli che non è solo in gioco il nostro futuro professionale, ma il bisogno serio di affermare una speranza, un precedente positivo, uno sprone benefico contro l’inerzia.
< strong>Luciano Regolo
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