Il sospetto è che si tratti di un vero e proprio sistema. Un apparato di potere, occulto ma evidentemente ben collaudato, che potrebbe aver assoggetato la cosa pubblica a esigenze che rispondono a logiche diverse e sicuramente molto lontane dall’interesse collettivo. Un sistema liquido, che non guarda al colore politico dei suoi interlocutori istituzionali, ma piuttosto si infiltra nei settori chiave delle amministrazioni locali riuscendo a determinarne gli indirizzi in modo da trarne il massimo profitto. E da generare una sorta di cappa che soffoca ogni possibilità di riscatto sociale.
Succede a Vibo Valentia, una città che, dalle trame degli anni bui della Repubblica alle nuove inchieste sulla gestione del ciclo dei rifiuti, si conferma un “laboratorio” per alleanze inconfessabili tra poteri forti. Un intreccio perverso tra ‘ndrangheta, politica e massoneria che è già emerso da diverse inchieste. Se n’è accorto anche l’ex console generale americano a Napoli, J. Patrick Truhn, che tra il 4 aprile e il 6 giugno 2008 ha firmato tre cablogrammi nei quali racchiude le sue conclusioni al termine di una visita fatta in Calabria, su input della Casa Bianca, per raccogliere elementi sulla reale pervasività della criminalità organizzata. Il contenuto dei tre documenti – classificati come “riservato” – è finito tra le carte trafugate e rese pubbliche con lo scandalo “Wikileaks”. «Vengo ricevuto con grande entusiasmo dalle autorità cittadine di Vibo Valentia – scrive Truhn – ma vado via sbigottito».
(I servizi integrali della storia di copertina, a firma di Sergio Pelaia, Paolo Pollichieni e Alessia Candito, sono pubblicati sul numero 169 del Corriere della Calabria in edicola fino al 2 ottobre)
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