Che pena vedere Luigi de Magistris cianciare come un Berlusconi qualsiasi. Pena ma non sorpresa perché non aspettavamo la sentenza del Tribunale di Roma per sapere che abusi ne erano stati commessi, e tanti, nelle inchieste condotte dall’ex pubblico ministero. Ci voleva pochissimo a finire nel suo mirino, bastava anche un articolo non gradito al Grande Inquisitore.
Semmai c’è da dire che solo i potenti hanno avuto giustizia, altri pur avendola invocata, attendono ancora di sapere che fine hanno fatto le denunce presentate alla Procura di Salerno. Si sentono rispondere che quella Procura ha archiviato le deliranti accuse mosse ai giornalisti “non allineati”: sette di questi finirono al registro degli indagati e ne sono usciti senza mai ricevere uno straccio di avviso di garanzia che spiegasse loro quale era l’accusa formulata. Una sorta di pari e patta che ai cronisti, che fecero il loro dovere, sta strettissima.
Come non ricordare i giorni della caccia all’untore, con i giovanotti che in infuocate assemblee agitavano i telefonini «abbiamo in linea Gigi, ora ascoltiamolo», e via in una gogna mediatica rovesciata dove le assemblee dei popolani emettevano le sentenze in contumacia. Dove sono oggi quegli scatenati, quanto interessati, fan di “Gigino a manetta”?
Si urlava che lo colpivano per bloccare le sue inchieste. L’arrivo a Catanzaro del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, oggi tornato alla Procura di Napoli, dimostrò esattamente il contrario: una gestione dissennata, vocata all’elefantiasi, assicurò l’impunità ai tanti delinquenti che pure popolavano le indagini “Why not” e “Poseidon”. Si cercava il colpo grosso, la grande tribuna, e intanto affaristi e faccendieri, assessori regionali e grandi costruttori, la facevano franca.
E con loro pure i servitori infedeli dello Stato. Anche di quelli spesso sproloquiava de Magistris, ma per vederne qualcuno in galera abbiamo dovuto aspettare che de Magistris andasse via e Borrelli prendesse il suo posto.
Questa è la storia e questi sono i fatti.
Storia e fatti che ci dicono di un Paese riconsegnato al centrodestra grazie a de Magistris e al suo iscrivere il premier Romano Prodi al registro degli indagati affidando a Panorama, il settimanale del Berlusca, l’incarico di notificarglielo.
Storia e fatti che ci dicono di un enorme archivio informatico, consegnato nelle mani di un privato cittadino, che ancora lo utilizza come e quando ne ha voglia, a favore di chi interessa a lui e contro chi gli sta sugli zebedei.
Storia e fatti che dovrebbero invitare chi ha fatto della toga la blindatura per sfondare in politica ad arrossire invece di insultare chi ha “osato” sottrarsi alla liturgia delle archiviazioni.
«La legge Severino è una legge che va applicata, è stata già applicata anche ad altri sindaci. Penso sia inevitabile che sia applicata»: così il presidente del Senato, Pietro Grasso sul caso de Magistris. Replica di Gigino: «Vorrebbero applicare per me la sospensione breve, in base alla legge Severino, un ex ministro della Giustizia che guarda caso è difensore della mia controparte nel processo a Roma. E la norma è stata approvata mentre il processo era in corso».
Ce ne vuole di smisurato egocentrismo per spingersi laddove neanche il Berlusca ha osato: la legge che ha fatto decadere il Cavaliere dal cavalierato e dallo scranno di Palazzo Madama è stata concepita per colpire il sindaco di Napoli.
Roba da chiamare il 118.
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