PALMI «Sicuro di interpretare il sentimento di tutto il Clero diocesano, il consiglio nel ribadire piena fiducia all’operato del vescovo circa la nomina dei parroci, ha espresso solidarietà al confratello fatto oggetto di tentativi di screditamento». Non ne fa il nome, né accenna alla vicenda processuale che lo ha visto condannato in primo grado per falsa testimonianza, ma il consiglio presbiterale della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi sembra schierarsi in maniera netta con don Antonio Scordo, l’ex parroco di San Martino di Taurianova punito per aver taciuto in tribunale quello che Anna Maria Scarfò gli aveva rivelato sugli stupri e le angherie che da mesi subiva da parte di rampolli delle famiglie “onorate” del paese, ma “promosso” alla guida parrocchiale del Duomo di Gioia Tauro. Una nomina che ha fatto indignare cittadini, associazioni e collettivi, scesi in piazza a Palmi qualche settimana fa per contestare la scelta del vescovo Milito e cui la Curia, pur senza farvi esplicito accenno, sembra voler rispondere nel sottolineare che il consiglio «accompagna l’azione pastorale di tutta la Chiesa diocesana e nella scontata e mai omessa condanna di ogni azione di violenza, compresa anche quella sulle donne; richiama il diritto di ciascuna persona ad essere considerato non colpevole fino alla condanna definitiva poiché gode della presunzione di innocenza fino al giudizio finale». Ma bacchettate arrivano anche all’indirizzo di giornali e giornalisti che si sono occupati della vicenda, richiamati «ad un clima di dialogo tra la Chiesa e i media per la crescita del nostro territorio, ovviamente nella verità e nel rispetto della dignità delle persone». Un messaggio sintetico, ma chiaro, per dire che la Chiesa di Palmi sta con don Scordo, che piaccia o no al tribunale, alle associazioni o ai semplici cittadini, ma che non è passato inosservato. Le parole dei religiosi hanno fatto insorgere il collettivo “Autonomia” – aggregazione femminista reggina», da sempre schierata in difesa delle donne e vicina ad Anna Maria Scarfò nella sua lunga battaglia processuale – che in una nota si chiede «Proprio perché la sentenza è di primo grado, esiste sì una presunzione di innocenza ma anche di colpevolezza, non sarebbe stato quindi più opportuno aspettare la conclusione del processo prima di affidare a don Scordo nuove “cariche”? Quale dunque il messaggio che la Chiesa locale sta veicolando? Lo avete forse già assolto disponendo di notizie che il tribunale, che lo ha condannato, ignora?». E alle stoccate lanciate dal consiglio che ha stigmatizzato «commenti e reazioni a firma di un collettivo, estraneo all’ambiente territoriale e diocesano», le donne di “Autonomia” rispondono senza mezza termini: «considerate forse “cosa vostra” quanto accade nel territorio di “competenza” secondo il detto “i panni sporchi si lavano in famiglia”? ci pare “strano” però che la comunità locale diocesana non abbia mai sostenuto, nei tredici anni di storia processuale, Anna Maria Scarfò, figlia “non estranea” di questa terra, preoccupandosi invece, con tanto fervore, del parroco in questione. Non è dunque questa cosa vostra ?». Una domanda cui – al momento – non è giunta risposta alcuna, ma non scoraggia le attiviste della collettiva, che nelle scorse settimane hanno inviato una lettera al vescovo per chiedere lumi sulla contestata promozione di don Scordo. «Aspettiamo – si legge nella nota – però la comunicazione annunciata da colui che consideriamo il nostro unico interlocutore: Monsignor Milito. Ci auguriamo che il tempo “congruo” di cui ha parlato, non sia un tempo destinato a non arrivare mai…la pazienza ha un limite».
Alessia Candito
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