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Renzi e i “poteri forti” della finanza

L’ex premier Berlusconi, quello delle leggi ad personam, dell’amico Previti corruttore di giudici e della nipote di Mubarack, denunciava e denuncia i poteri forti che tramavano contro di lui. L’ex …

Pubblicato il: 10/10/2014 – 9:52

L’ex premier Berlusconi, quello delle leggi ad personam, dell’amico Previti corruttore di giudici e della nipote di Mubarack, denunciava e denuncia i poteri forti che tramavano contro di lui. L’ex pm de Magistris, quello delle clamorose inchieste, tanto infarcite di aggettivi altisonanti quanto povere di sostanza processuale e acume inquirente, denunciava e denuncia i poteri forti che tramavano contro di lui. Anche il nostro attuale premier descamisado, da qualche tempo, denuncia i poteri forti che tramano contro di lui.
Oggi dobbiamo, dunque, occuparci delle alluvionali esternazioni di Renzi. Occorre vincere la stanchezza ultraventennale che ormai ci coglie e sforzarsi di ribattere ad argomenti tenuti insieme davvero con gli spilli, argomenti che solo dal rifiuto ostentato di qualsiasi interlocuzione possono ricavare una qualche parvenza di fondatezza.
Dunque, il presidente del consiglio intende cancellare l’art.18 ed intende farlo “violentemente”, come ebbe a dire un paio di settimane fa e già questo dovrebbe dir molto. È l’esasperazione di una tecnica che già fu di Berlusconi e ancor prima di Craxi: alzare i toni per celare la debolezza delle proprie ragioni; evocare l’imminenza di una catastrofe alla quale solo l’impeto dell’uomo della provvidenza può sottrarci.
Alcuni degli argomenti addotti sono talmente inconsistenti che quel che davvero sbigottisce è l’immagine dei media che indirettamente consegue alla loro ripetuta enunciazione. Come quello secondo il quale l’articolo 18 determinerebbe una condizione di apartheid verso i lavoratori che sono esclusi dalle sue tutele. Affermazione alla quale ci si attenderebbe seguisse l’annuncio di estendere le medesime tutele anche a quanti ne sono privi e non quello esattamente opposto e cioè che per eliminare ogni diseguaglianza il governo toglierà quelle tutele a tutti i lavoratori. Che è un po’ come se Mandela avesse inteso risolvere il dramma della discriminazione razziale togliendo ogni diritto civile anche ai cittadini sudafricani di pelle bianca. Ci si aspetterebbe qualche puntuta osservazione dei giornalisti che affollano le conferenze stampa del premier e invece nulla.
O come quello secondo il quale non sarebbe accettabile che siano i giudici a decidere quali lavoratori debbano rimanere in un’azienda. Rilievo che si potrebbe estendere a molti altri ambiti, osservando, magari, che non si capisce perché debba essere un giudice a decidere chi, fra proprietario e inquilino, debba avere libero accesso in un appartamento o che non si capisce nemmeno perché debba essere un giudice a stabilire chi, fra padre e madre separati debba continuare a convivere con i figli. Si potrebbe lasciare che provveda il più forte. Lasciare al proprietario la possibilità di sostituire le serrature dell’appartamento e mettere in mezzo ad una strada l’inquilino. Lasciare che il genitore economicamente più forte si prenda i figli. Poi risarcire i soccombenti, che risultassero avere ragione nel successivo giudizio, con un bell’indennizzo.
L’ironia risulta facile, ma vien fuori ancora più amara. Meglio, forse, sforzarsi di ricordare al nostro velocissimo presidente del Consiglio che si tratta di diritti e che nelle democrazie la tutela dei diritti è di solito rimessa ai giudici. Che, altrettanto usualmente, si tratta di una tutela graduata in funzione dell’importanza dei diritti, che non sono tutti uguali. Nella nostra Costituzione, ad esempio, il diritto al lavoro è enunciato in molte norme, a cominciare dall’articolo 1.
Un argomento appena un po’ più consistente è quello secondo il quale gli ostacoli alla possibilità di licenziare impedirebbero la ripresa economica. Una sorta di mantra che ascoltiamo da oltre trent’anni e che mai nessuno studio scientifico serio è riuscito ad accreditare come tesi munita di qualche fondamento. I dati, anche quelli provenienti da insospettabili fonti come l’OCSE (e magari ci sarà modo di riparlarne), dicono l’esatto contrario. La realtà che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi ci dice l’esatto contrario e cioè che, dopo che in questo paese le forme di contratto flessibile sono fiorite a decine, con una velocità che ci ha collocati ai primissimi posti in Europa in questo trend, dopo che si è fatta della precarietà una norma per le nuove generazioni, che per questo non possono più immaginare un futuro, non solo non sono aumentate né produzione industriale né disoccupazione, ma al contrario sono entrambe crollate con progressione geometrica.
Alla ripetizione ossessiva di tesi del tutto campate in aria conviene contrapporre ostinatamente i fatti, ricordando, ad esempio, da chi vengono le sollecitazioni e metter mano, smantellandoli, ai diritti costituzionali dei lavoratori. Non certo dall’Europa, che non c’è una sola Europa e si tratta semmai di scegliere quale vogliamo. Esiste, in tal senso, un atto che ha un vero e proprio valore confessorio: un report del 28 maggio 2013 della JP Morgan (una delle più grandi banche d’affari del mondo, nel 2012 denunciata dal governo federale Usa come responsabile dell’attuale crisi finanziaria) nel quale la responsabilità della crisi europea è addossata direttamente alle Costituzioni dei paesi dell’area del Mediterraneo (compresa la nostra, dunque), ritenute poco funzionali alle auspicabili ricette di riforma ed uno degli assetti costituzionali da aggredire è individuato proprio nella Tutela costituzionale del diritto al lavoro.
Molto altro ci sarebbe da dire sull’argomento e magari ci sarà occasione di ritornarvi, per il momento è bene sapere che il nostro ipercinetico premier e il suo governo non si sono inventati proprio nulla. Proseguono, obbedienti ed impettiti, nel solco tracciato proprio da quegli ambienti della finanza internazionale, quei “poteri forti”, che ci hanno sprofondati qui dove ora ci troviamo.

*magistrato

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