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ECLISSI | Il sindaco "amico" dei Bellocco

SAN FERDINANDO Per i più era un sindaco di prima linea, nome noto della battaglia contro la concessione del porto di Gioia per il trasbordo delle armi chimiche siriane, come di quella per l’accogli…

Pubblicato il: 14/10/2014 – 12:19
ECLISSI | Il sindaco "amico" dei Bellocco

SAN FERDINANDO Per i più era un sindaco di prima linea, nome noto della battaglia contro la concessione del porto di Gioia per il trasbordo delle armi chimiche siriane, come di quella per l’accoglienza dignitosa dei migranti che ogni anno si riversano nella Piana di Gioia per la raccolta delle arance, ma per la Dda di Reggio Calabria è uno degli amministratori che ha favorito il clan Bellocco. Per questo motivo il primo cittadino di San Ferdinando, Domenico Madafferi, del Partito democratico, è finito ai domiciliari, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Stando a quanto emerso dalle indagini, Madafferi avrebbe favorito il rilascio di false attestazioni anagrafiche per agevolare l’organizzazione, il rilascio di licenze e autorizzazioni per l’apertura di negozi e attività commerciali, nonché facilitazioni e informazioni per permettere al clan Bellocco di aggiudicarsi appalti relativi alla gestione della raccolta dei rifiuti solidi urbani.

 

AMMINISTRAZIONE AL SERVIZIO DEI CLAN
Un contributo – filtra da ambienti investigativi – che sarebbe stato consapevole e specifico al clan, al pari di quello fornito dal suo vice Santo Celi e dal consigliere d’opposizione della lista “Futuro migliore”, Giovanni Pantano (noto per aver fondato il meet up dei Cinque Stelle di San Ferdinando, anche se oggi sconfessato dai parlamentari grillini) anche loro fermati nell’ambito dell’operazione “Eclissi”. «Ogni volta che iniziamo ad attenzionare una struttura di ‘ndrangheta emergono collegamenti istituzionali – commenta quasi con amara rassegnazione il procuratore capo Federico Cafiero de Raho –. Le indagini non partono mai dagli amministratori, ma finiscono per arrivare sempre a quel livello. Credo che la specificità del fenomeno sia proprio questa: la ‘ndrangheta riesce sempre e comunque dei propri riferimenti nelle amministrazioni comunali, quindi ogni qualvolta si indaga sulle cosche che operano in un certo territorio, si finisce per arrivare ai rappresentati nelle istituzioni locali. Ad oggi, non c’è cosca che non abbia il proprio rappresentante».

 

L’AMBIGUITÀ DELL’ANTIMAFIA
Un dato ancor più allarmante – sottolinea Cafiero de Raho – se si considera che «il Comune di San Ferdinando in passato è stato più volte protagonista di manifestazioni antimafia, mentre in realtà ci si muoveva per coordinare le aspirazioni e le esigenze dei gruppi di ‘ndrangheta che insistono sul territorio». Circostanze cristallizzate non solo in una serie di discutibili provvedimenti amministrativi, ma anche di innumerevoli conversazioni intercettate che anche il procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza, coordinatore delle attività investigative sulla tirrenica, vuole evidenziare: «È assolutamente emblematico il passaggio di un’intercettazione ambientale, in cui si ascoltano il vicesindaco Celi eil sindaco Madafferi stigmatizzare il danneggiamento subito dalla ditta che si occupava della raccolta rifiuti. Ed è Madafferi a dire testualmente «non ce lo meritavamo, siamo sempre stati a disposizione. È quasi un’implicita ammissione di colpevolezza».

 

I CLAN E L’APPALTO RIAPPACIFICATORE
Ma il procuratore Sferlazza ha parole durissime anche per «chi, come un ministro della Repubblica ebbe l’ardire di sostenere qualche anno fa, afferma che con la mafia ci si debba convivere perché la massiva infiltrazione criminale nel tessuto sano dell’economia che oggi registriamo, dimostra ancora una volta che le organizzazioni criminali sono un ostacolo allo sviluppo». Quella che emergerebbe dall’operazione “Eclissi” – che ha portato all’arresto di 26 persone di cui solo una mandata ai domiciliari – sarebbe l’immagine di un paese bloccato dai diversi appetiti delle due consorterie che se lo contendono, con il beneplacito, se non la collaborazione, di chi invece sarebbe deputato a vigilare e amministrare in nome degli interessi della collettività. Satelliti territoriali delle omonime e rinomate cosche di Rosarno, i Bellocco-Cimato e i Pesce-Pantano si sarebbero divise San Ferdinando alternando periodi di aperta e virulenta contrapposizione – giunta addirittura alle porte di una guerra, le cui prime potenziali vittime erano già state individuate – a un periodo di pace, basato su un regime di equa spartizione degli affari leciti e illeciti sul territorio. È in questo quadro – spiega il capitano Francesco Cirinnella – che si inserirebbe «l’incendio doloso subito dall’autocompattatore dell’Evergreen mirato all’estromissione della ditta vincitrice dell’appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, per far subentrare una società gradita ad entrambe le famiglie». Su quella comune gestione, si fonderà il nuovo regime di concordia destinato a durare fino all’inizio dell’estate di quest’anno, quando una serie di danneggiamenti segnerà una nuova riapertura delle ostilità.

 

ECONOMIA SOTTO SCACCO CRIMINALE
Del resto, i clan non avrebbero solo ai grandi appalti pubblici della città, ma sotto il tallone della “federazione criminale” che schiacciava San Ferdinando c’erano le più disparate e finanche minute attività economiche commerciali e imprenditoriali, tutte oggetto di sistematiche e pervasive richieste di tipo estorsivo. «Per i clan – spiega Sferlazza – il pizzo non è solo o semplicemente una via di finanziamento, ma un modo per affermare la propria asfissiante presenza sul territorio». Una presenza inquietante, che i clan – erano in grado di far pesare sul piccolo comune non solo incidendo sulle scelte dell’amministrazione, o con estorsioni a tappeto, ma anche con danneggiamenti, minacce e intimidazioni oggi contestate a vario titolo alle ventotto persone fermate.

 

UNA TALPA METTE A RISCHIO LE INDAGINI
Un provvedimento che la Dda è stata obbligata a emettere con urgenza a causa di una “falla” che permetteva – ammette il procuratore capo Cafiero de Raho – «di essere costantemente informati degli sviluppi investigativi». I clan – dicono gli inquirenti – in una certa fase hanno potuto contare su una talpa, estranea alle indagini, ma comunque in grado di informarli sulle attività in corso. “Dalle conversazioni intercettate – dice de Raho – è emerso il nome di un carabiniere, ma allo stato non ci sono sufficienti elementi per affermare alcunché. In ogni caso, anche se dalle indagini emerge che c’è qualcuno dall’interno che rema contro, l’esito di questa operazione dimostra che non è stato in grado di pregiudicare il lavoro egregio di tutti gli altri».

 

IL MARESCIALLO NEL MIRINO DEI CLAN
Ma è soprattutto il comandante Lorenzo Falferi a voler dissipare qualsiasi ombra di sospetto sull’operato dei suoi uomini «dall’operazione di oggi, emerge chiaramente l’azione di contrasto esercitata dalla stazione di San Ferdinando, che tanto fastidio da ai clan da essere finita fra i possibili obiettivi». Nel mirino dei clan, vuole sottolineare Falferi, era finito il comandante della stazione contro il quale gli uomini delle ‘ndrine stavano stavano valutando l’ipotesi di prendere addirittura “provvedimenti”. «In una delle intercettazioni captate – aggiunge il comandante – si ascolta “il maresciallo deve soffrire, ma deve soffrire tanto” perché immaginavano di colpire la figlia per far male a lui».

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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