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ECLISSI | Il sindaco «equilibrista» e l'appalto conteso

REGGIO CALABRIA Un “equilibrista”, ago della bilancia fra gli interessi delle diverse cosche che asfissiano il territorio, apparentemente integerrimo difensore della legalità, ma in realtà al …

Pubblicato il: 14/10/2014 – 21:57
ECLISSI | Il sindaco «equilibrista» e l'appalto conteso
REGGIO CALABRIA Un “equilibrista”, ago della bilancia fra gli interessi delle diverse cosche che asfissiano il territorio, apparentemente integerrimo difensore della legalità, ma in realtà al servizio, o meglio per sua stessa ammissione “a disposizione” di tutti i clan. Non è certo un’immagine edificante del sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi, quella che emerge dalle oltre milleottocento pagine di provvedimento dell’operazione “Eclissi” con cui la Dda di Reggio Calabria ha chiesto e ottenuto il fermo di ventisei persone, ma soprattutto ha fatto luce su un’intera amministrazione prostrata ai voleri dei clan. Secondo l’inchiesta, a San Ferdinando, a dettare legge erano i Bellocco-Cimato e i Pesce- Pantano, che non solo potevano contare sugli uomini che all’interno dell’amministrazione erano loro diretta espressione – rispettivamente il vicesindaco Santo Celi e il consigliere di opposizione Giovanni Pantano – ma anche sul primo cittadino, che sarebbe sempre stato attento a non scontentare nessuna delle due consorterie.

 
IL PASIONARIO COMPIACENTE
Lungi dall’essere quel barricadero difensore dei propri concittadini pronto a emanare un’ordinanza per ordinare la chiusura del porto di Gioia Tauro in assenza delle necessarie rassicurazioni ai tempi del trasbordo delle armi chimiche siriane, Madafferi si è dimostrato un fine diplomatico, in grado di servire i clan senza per lungo tempo insospettire le forze dell’ordine. Non a caso, “astutamente” – si legge nel decreto di fermo –  quando il suo Comune è finito nell’occhio del ciclone per gli arresti dell’operazione Tramonto, “si recava dai carabinieri per “denunciare”,  come se si trattasse di “confidente” dell’Arma, le ingerenze mafiose nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. Ha in sostanza cercato di ostentare una fioca legalità, mantenuta volutamente soffocata da notizie distribuite in maniera centellinata, in modo frammentario e impreciso, ad appartenenti alle forze di polizia”. Ma Madafferi agli investigatori raccontava poco o niente, il suo intento era solo – scrive il pm Giulia Pantano che assieme al procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza ha coordinato l’indagine – quello di “pubblicizzare la propria presa di distanza dalle cosche imperanti su San Ferdinando”. In realtà – sottolinea il sostituto procuratore – “il sindaco si barcamenava cercando nei fatti non solo di non danneggiare né l’una né l’altra organizzazione criminale, da perfetto “equilibrista”, ma teneva ottimi rapporti e “dialogava”, pur sapendo che si trattava dei politici referenti rispettivamente delle due cosche Pesce-Pantano e Bellocco-Cimato, sia con il consigliere Pantano Giovanni che con il vicesindaco Celi Santino, cercando da ciascuno di carpire i desiderata del proprio clan di appartenenza e assecondandoli”.
 
“IL SINDACO DI PAGLIA”
Un ritratto devastante quello tracciato dal pm, che per comprendere chi fosse davvero il sindaco Madafferi ha potuto contare non solo su intercettazioni telefoniche e ambientali, videoriprese e riscontri, ma anche sulla testimonianza di chi con il primo cittadino di San Ferdinando era stata obbligata a lavorarci, prima di chiedere il trasferimento ad altra sede: l’ex segretaria comunale Patrizia Ruoppolo. “Il sindaco nonostante percepisse le richieste del mio ufficio, sia esse orali sia esse scritte, rimandava all’assolvimento decisionale in relazione alla sua funzione, e puntualmente si rendeva necessaria o meglio determinante, la fase in cui personalmente, così come accadeva anche per altri cittadini compresi, bisognava rivolgersi al Comandante dei Vigili, all’epoca dei fatti il dottor Stucci, o in alternativa alla figura del vice Sindaco Celi Santo o anche, in alcune occasioni, è capitato doversi rivolgere all’assessore Lamalfa Daniele”. Tanto Stucci come il vicesindaco Celi – dimostreranno le indagini – sono personaggi al servizio dei clan di San Ferdinando. “In un momento temporale in cui lo Stucci non era stato ancora tratto in arresto, era questi che manifestava un forte ascendente sulle decisioni del sindaco (…). Dopo l’arresto dello Stucci quella figura, per così dire di intermediario veniva incarnata in toto dal vicesindaco Celi Santo”. Anche nelle parole dell’ex segretaria del Comune, il sindaco dunque non era che “una sorta di personaggio di facciata poiché veniva appunto gestito da queste due figure carismatiche”.
 
“NOI SIAMO SEMPRE A DISPOSIZIONE”
Il primo cittadino di San Ferdinando, anche per chi con lui aveva lavorato, non era dunque che un uomo che – dicono i magistrati – “demandando il reale potere politico e gestorio a soggetti che della cosca Bellocco-Cimato erano referenti, Madafferi permetteva che la ‘ndrangheta permeasse di sé il Comune di San Ferdinando. D’altronde – sottolineano – un vero e proprio atteggiamento di contrasto o anche solo di chiusura, nella sua qualità di sindaco del paese, nei confronti della ‘ndrangheta non lo hai mai tenuto”. L’impegno antimafia del primo cittadino dunque, non era che una messinscena a uso e consumo di telecamere, che nascondeva in realtà una totale prostrazione ai voleri dei clan. Non a caso, è lui stesso – intercettato dalle cimici dei carabinieri ad ammettere candidamente – “noi siamo sempre stati a disposizione”.  E il sindaco ha dovuto dar davvero fondo a tutte le arti proprie diplomatiche  per uscire dal ginepraio della raccolta rifiuti urbani a San Ferdinando. Un appalto che faceva gola a entrambi i clan, che in nome di quei lavori si sono prima spinti al bordo di una nuova guerra, quindi hanno “cucinato” una nuova pace, sancita da una cena – con tanto di cabarettista personalmente contrattato da uno dei maggiorenti del clan – per suggellare l’evento. A farne le spese sarà la ditta Evergreen, regolarmente aggiudicataria dell’appalto e altrettanto “regolarmente” sottoposta alla cosiddetta tassa di sicurezza imposta dai clan. Quando gli assetti cambiano e si rende necessario mettere l’appalto a una ditta gradita a entrambi i clan, neanche il pizzo salva la Evergreen  dall’estromissione a favore della Radi. Al  titolare Francesco Toscano, il segnale arriva forte e chiaro: il 17 marzo 2014, l’autocompattatore utilizzato dalla ditta Evergreen viene dato alle fiamme da due uomini armati di pistola, che bloccano il mezzo, costringono gli operai a scendere e appiccano il fuoco, per poi lasciare un messaggio per Toscano dite al vostro titolare che a San Ferdinando non deve più lavorare”.
 
MADAFFERI, L’INUTILE DEPISTATORE 
Agli investigatori, i lavoratori riferiranno di non essere in grado di identificare i due perché avevano agito a volto coperto, ma sarà il sindaco Madafferi a fornire immediatamente dettagliate informazioni. Addirittura, è lui stesso a contattare il comandante della locale stazione dei carabinieri per suggerire che il danneggiamento all’autocompattatore è sicuramente da ricollegare alla decisione dell’amministrazione di dire no alle offerte della ditta Camassa, che qualche giorno prima si era proposta per subentrare alla Evergreen, mettendo sul piatto anche un pacchetto di assunzioni da spendere su San Ferdinando. Una versione di comodo, che avrebbe potuto distogliere l’attenzione degli inquirenti dai veri responsabili del danneggiamento – i clan Bellocco-Cimato e Pesce-Pantano – ma che si è infranta di fronte alle particolareggiate dichiarazioni del titolare della Evergreen. Toscano – che due giorni dopo l’attentato deciderà di rescindere il contratto – il 10 aprile
si deciderà a parlare con il maresciallo Vadalà della locale stazione dei carabinieri. Una chiacchierata informale nelle intenzioni di Toscano, ma interamente registata dal militare, che ne trarrà spunto per i successivi approfondimenti di indagine. A Vadalà, l’imprenditore racconta che il danneggiamento del mezzo della ditta Evergreen s.r.l. era stato organizzato dai fratelli Cimato, Domenico e Ferdinando, ma eseguito  da un soggetto di cui ignorava il nome ma che conosceva come coordinatore locale di Piana Sicura. Informazioni di cui aveva avuto conferma dallo stesso Domenico Cimato – l’esattore di riferimento del clan Bellocco – dal quale aveva saputo che l’attentato era stato deliberato dalle famiglie mafiose di Rosarno. Informazioni utilissime a inquirenti e investigatori per comprendere l’evoluzione della vicenda.
 
LA DITTA DELLA CONCORDIA
Nel frattempo infatti, mentre il consigliere Pantano strappa agli operai che avevano subìto l’agguato – negli stessi giorni destinatari di una serie di intimidazioni – che nulla sarebbe stato rivelato alle forze dell’ordine, in cambio di un’assunzione nella nuova ditta, l’amministrazione procedeva spedita per individuare una sostituta della Evergreen. “Fu allora – sintetizzano gli inquirenti nel  fermo – che la scelta del Comune di San Ferdinando, per volontà delle cosche, rivali tra loro ma che sul punto avevano trovato l’accordo, ebbe a ricadere sulla ditta Radi di Palmi. Di fatto, nella consapevolezza che l’azienda individuata era “gradita” alla ‘ndrangheta locale nel suo complesso, dopo essersi consultato con Celi Santino, Madafferi acconsentiva che di fatto la gestione dell’appalto venisse demandata a Pantano Giovanni”. Sarà proprio il consigliere di opposizione – presentatosi sempre come espressione del Movimento Cinque Stelle, ma oggi sconfessato persino dal blog di Grillo – a farsi latore del nuovo, comune interesse dei clan, con buona pace del sindaco che però non dimentica di consultare al riguardo il suo vice, Celi, cui dice a mo’ di giustificazione “è una cosa che ci tocca a tutti questa quà è (…) proprio disponibilissimo si è dimostrato quindi (…) loro che non si arrabbino se mi vedono con lui, hai capito?”.
 
PASSPARTOUT PANTANO
Madafferi – sottolineano gli inquirenti – “chiedeva rassicurazioni a Celi perché temeva  che se “…loro” (inteso gli appartenenti alla compagine mafiosa dei Bellocco-Cimato) lo avessero visto insieme al Pantano Giovanni, avrebbero potuto arrabbiarsi (…) L’espressione è ulteriormente indicativa del fatto che Madafferi non voleva in alcun modo che “venisse scontentata” la cosca Bellocco-Cimato, e pertanto, nella consapevolezza dell’intraneità a quel sodalizio del suo vice, chiedeva conforto circa il fatto che la sua condotta non venisse in nessun modo fraintesa e ritenuta esemplificativa di un’improvvisa “vicinanza” alla cosca contrapposta”. Peraltro – aggiungono i magistrati – “il “pass-partout” dato a Pantano Giovanni non trovava alcuna diversa giustificazione dal momento che Pantano Giovanni, proprio perché consigliere di minoranza, a differenza del vicesindaco, non aveva reali poteri gestori in seno al Comune. L’unica spiegazione possibile era ed è che Celi, unitamente al sindaco Madafferi, consapevole delle dinamiche mafiose superiori che governavano quell’affare, avevano deciso di far fare a Pantano Giovanni, che in quel frangente rappresentava l’uomo di sintesi dei contrapposti, ma evidentemente divenuti convergenti, interessi economici dell’una e dell’altra ‘ndrina sanferdinandese”.
 
ORDINARIA ILLEGALE AMMINISTRAZIONE
Ma se l’appalto per la raccolta rifiuti è stata la massima prova di equilibrismo diplomatico fra i desiderata dei diversi clan che Madafferi avrebbe dovuto affrontare, nell’ordinaria amministrazione più volte si sarebbe dimostrato disponibile alle diverse necessità di capi e gregari. Non si sarebbe sottratto, ad esempio, quando alla fidanzata di Nicola Caprino, esponente del clan Bellocco-Cimato all’epoca detenuto, serviva un certificato di convivenza che le permettesse di entrare in carcere, nonostante fosse consapevole – o forse proprio per questo – dell’incidenza del proprio operato sugli interessi  della cosca. “Da sempre ha vissuto a San Ferdinando – dicono al riguardo i magistrati. Conosceva Caprino e la sua storia personale ed era consapevole del fatto che, dopo le numerose inchieste giudiziarie degli ultimi anni, la cosca Bellocco-Cimato decimata dagli arresti, necessitava, per la sua stessa esistenza, che i componenti potessero seguitare a comunicare tra loro, anche grazie all’ausilio dei visitatori in carcere”. Allo stesso modo, Modafferi non si è tirato indietro quando gli verrà chiesto di intercedere presso i Pantano, che a un comune cittadino di San Ferdinando avevano chiesto – “con fare intimidatorio e adottando metodologia mafiosa” sottolineano gli inquirenti – la corresponsione di una somma di denaro a titolo estorsivo in relazione a un inesistente sinistro stradale. “Grazie alla mediazione del sindaco Madafferi Domenico – che ancora una volta dava prova della sua capacità di “equilibrista” tra le istituzione e la ‘ndrangheta, tra la legalità e l’illegalità più odiosa – quella condotta estorsiva venne stroncata, avendo il primo cittadino informato uno degli estortori della possibilità concreta che la persona offesa denunciasse l’angheria subita”. 

 

 Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

 

 
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