REGGIO CALABRIA Cominceranno domani mattina alle nove e mezzo presso il carcere di Palmi gli interrogatori dei 26 fermati nell’ambito dell’operazione Eclissi, scaturita dall’inchiesta che 24 ore fa ha decapitato l’amministrazione comunale di San Ferdinando, mentre toccherà probabilmente aspettare fino a venerdì per sapere se i due gip del Tribunale di Palmi convalideranno l’ordinanza, dando visto buono all’impianto accusatorio costruito dal pm Giulia Pantano. E mentre ancora infuriano le polemiche sull’appartenenza o meno al movimento Cinquestelle dell’ex consigliere comunale Giovanni Pantano – fondatore del meet up di San Ferdinando, dalla cui pagina è stato prontamente rimosso dopo l’arresto per associazione mafiosa e la sconfessione di Grillo – nuove ombre si addensano sull’amministrazione comunale, già da ieri passata sotto la guida del commissario Cosima Di Stani. Agli atti dell’inchiesta “Eclissi” sono finiti infatti una valanga di provvedimenti amministrativi assunti dalla giunta Madafferi, che adesso verranno passati al vaglio dagli inquirenti, per comprendere in che misura nel Comune di San Ferdinando fosse estesa l’infezione.
L’INDAGINE SI ALLARGA?
E l’impressione – dicono fonti vicine alle indagini – è che il livello di compromissione delle istituzioni del piccolo centro della Piana, vada ben oltre le figure del consigliere Pantano, arrestato perché considerato la longa manus del clan Pesce-Pantano, del vicesindaco Santo Celi, fermato in qualità di rappresentante istituzionale degli interessi dei Bellocco-Cimato e del sindaco, Domenico Madafferi, attento equilibrista fra i contrapposti desiderata criminali delle due consorterie. Del resto – al netto delle indiscrezioni – a rivelare che l’infiltrazione delle ‘ndrine nel Comune di San Ferdinando possa andare oltre i già gravi episodi contestati ai tre politici finiti in manette, è lo stesso decreto di fermo. Lo suggeriscono le intercettazioni, che danno conto dell’estremo nervosismo di Madafferi quando il comandante della locale stazione dei carabinieri, Francesco Vadalà – un «cosu lordu» per il primo cittadino – si presenta in Comune per un’indesiderata ispezione, vissuta con gran patema d’animo dal sindaco che a uno dei dipendenti dell’amministrazione confessa: «Non è che qua, tu, ci sono persone per bene per decreto e delinquenti per funzione, dove siamo qua!? (…) io quando sono entrati, quando li ho visti arrivare tutti quanti ho detto e che siete venuti per arrestarmi?».
FARI PUNTATI SULL’UFFICIO TECNICO?
Ma lo rivelano soprattutto sono le circostanze contestate alla responsabile del servizio dell’Area tecnica, Caterina Papasidero, attualmente indagata nel medesimo procedimento per abuso d’ufficio aggravato dall’aver favorito il clan Bellocco-Cimato. Per gli inquirenti, è una di quelle «figure che pur non potendosi ricondurre all’alveo degli intranei alle cosche certamente hanno posto in essere delle condotte delittuose agevolatrici della ‘ndrina» a San Ferdinando, perché in soli tre giorni avrebbe concesso a Gregorio Malvaso, esponente di spicco dei Bellocco, un’ingiustificabile autorizzazione allo scarico delle acque reflue nella conduttura comunale per l’autolavaggio di sua proprietà. Un provvedimento adottato in palese violazione di legge e revocato in fretta e furia due mesi dopo, quando la procedura diventa di interesse investigativo. «L’attività di autolavaggio del Malvaso, autorizzata dal Comune allo sversamento dei reflui nella conduttura comunale – sintetizzano gli inquirenti – sarebbe dovuta proseguire, nel totale silenzio dell’ente che aveva rinunciato a svolgere qualunque intervento di controllo e vigilanza, lasciando decorrere più di 2 mesi senza effettuare alcunché, se il Noe dei Carabinieri, accedendo agli atti amministrativi, non avesse mostrato di svolgere attività di indagine in relazione a quella pratica. Solo allora Papasidero Caterina, dopo essersi prestata ad assecondare gli interessi economici del Malvaso e della sua cosca, consapevole dell’abuso compiuto, ritirava il provvedimento, onde limitare il danno». Accertamenti che hanno provocato non poca apprensione non solo nella dirigente – a più riprese contattata anche dal vicesindaco Celi per verificarne la “tenuta” psicologica dopo la richiesta di acquisizione atti da parte dei carabinieri – ma anche nel sindaco Madafferi, «che si mostrava – annotano gli inquirenti – molto seccato di vedere posto sotto la lente di ingrandimento degli investigativi il proprio operato». Un nervosismo che rivela, forse, che il provvedimento adottato a favore di Malvaso non è stato l’unico atto amministrativo ambiguo a transitare dalle cruciali scrivanie dell’ufficio tecnico.
QUELLE NOTIZIE RISERVATE CHE MINACCIANO GLI INVESTIGATORI
Ma di certo un altro fronte di indagine è probabile che si concentri su quella talpa che ha permesso agli uomini dei due clan non solo di avere la certezza di essere nel mirino degli inquirenti, ma soprattutto di avere continue informazioni sullo stato delle indagini, tanto da valutare l’eventuale ipotesi di darsi alla latitanza. Circostanze inquietanti e pericolose non solo per l’esito dell’inchiesta, ma anche per i militari coinvolti in prima linea nelle attività, come il maresciallo Vadalà. Su di lui si concentrerà infatti l’astio di Malvaso – assolutamente consapevole di essere indagato – all’indomani del sequestro del bar Corona. Un provvedimento che il reggente dei Bellocco attribuisce a presunte volontà persecutorie del militare, a proposito del quale non ha timore di affermare. «Io non voglio che soffra lui, che muoia lui, io voglio che gli capiti qualcosa o alla moglie o alla figlia». Propositi che, lungi dall’essere ipotetici, stando alla conversazione intercettata sembra fossero stati sottoposti anche all’attenzione dei massimi vertici del clan, da cui era arrivato un secco no al progetto di fare del male alla bambina per colpire il padre. Un no cui Malvaso, pizzicato a discutere dei suoi feroci propositi con l’amante Viktoriya Trifonova Georgieva, non sembra rassegnarsi. «No, quando mi dicono no, la bambina non c’entra – dice alla donna, riferendo le direttive ricevute – ma a lui dei figli miei non gliene fotte un cazzo, a me perché mi deve interessare di sua figlia e di quel cornuto che è!».
CACCIA ALLA TALPA
E proprio Malvaso – emerge dalle conversazioni intercettate – sarebbe uno dei destinatari delle confidenze della talpa, fedele ai clan, ma – forse – non così arguta da non destare sospetti fra i colleghi. In mano ai militari, c’è già un nome emerso nel corso di un’intercettazione e che, forse non casualmente, corrisponde a quello di un carabiniere che si è rifiutato di essere coinvolto nelle attività di indagine, asserendo di preferire il servizio di pattuglia sul territorio. Affermazioni che adesso è probabile che vengano passate al setaccio, anche perché gli inquirenti sanno – per averlo ascoltato direttamente dalla viva voce degli indagati – che i maggiorenti del clan erano in grado di conoscere anche i dettagli operativi dell’indagine, come il numero e il luogo di ubicazione di telecamere installate dagli inquirenti. Segno inequivocabile della presenza di una ben informata talpa. Una talpa che adesso sono decisi a scovare.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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