REGGIO CALABRIA Non regge l’accusa di associazione mafiosa a carico di Filippo Fontana, imputato insieme a Giovanni Gullì nel procedimento d’appello Affari di famiglia. A carico di entrambi, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Russo con Gullino e Petrone a latere, ha riformato la sentenza emessa in primo grado contro i due, condannando Fontana, difeso dai legali Marco Martino e Annunziato Alati,a 4 anni e 6 mesi di carcere, mentre ha confermato i 2 anni e 8 mesi rimediati in prima istanza da Giovanni Gullì, assistito dagli avvocati Maurizio Punturieri e Umberto Abate.
Per entrambi, il sostituto pg Adornato aveva chiesto alla Corte di confermare la condanna a sei anni e otto mesi inflitta a Filippo Fontana per associazione mafiosa e tentata estorsione, come quella di due anni e otto mesi rimediata da Giovanni Gullì, in primo grado riconosciuto colpevole solo di tentata estorsione. Per l’accusa, entrambi sono a vario titolo coinvolti nel giro di estorsioni imposte dai clan nei cantieri della statale 106. Stando alle risultanze investigative, c’erano anche loro fra i soggetti pizzicati a impore alla ditta catanese Cogip spa il pagamento dell’ormai nota “tassa di sicurezza”, il dazio pari al 4% del valore dell’appalto che i clan pretendono da chiunque si azzardi ad aprire un cantiere nella “loro” zona. E quando sul medesimo fazzoletto di territorio, ci sono più clan a dettare legge, i proventi delle estorsioni si condividono. Un meccanismo rodato, figlio degli accordi forgiati nel tempo, su mille e affari e altrettanti cantieri, che proprio uno degli imputati si preoccupa di spiegare – intercettato – allo sbigottito capocantiere della ditta «allora, dal chilometro 6-700, fino al chilometro di Pellaro, quella è zona mia dal semaforo di Pellaro fino al kilometro 22, la competenza è metà alla mia famiglia, metà ad altri; dal chilometro 22 fino al 31, il territorio è delle persone che avete già incontrato, e che adesso visitiamo». Quello che probabilmente i clan non avevano previsto era la ribellione dell’imprenditore Mimmo Costanzo, titolare della Cogip, che ha deciso di denunciare i propri estorsori alla Dia di Catania, così come la piena collaborazione dei lavoratori che, quando l’indagine è passata a Reggio Calabria, non hanno esitato a collaborare con gli inquirenti.
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