ROMA «Le alleanze politiche non possono essere imposte dall’alto e non possono nascere da una costrizione. Su questo terreno non potete contare su di me». È ormai notte quando Mario Oliverio lascia il tavolo di riunione voluto da Lorenzo Guerini e allargato, nelle ultime ore, ai big di Nuovo centrodestra e Udc. Erano entrati che c’era un tiepido sole, escono che su Roma cade una pioggerellina intensa e fastidiosa. Alla Camera dei deputati ancora si vota, Oliverio e Magorno riaccendono i telefonini ed è subito una valanga di messaggi. Se un risultato ha prodotto l’estenuante due giorni romana totalmente occupata dal pressing del Pd nazionale sui calabresi perché aprano la coalizione agli ex sostenitori della giunta Scopelliti, è quello di far fraternizzare chi sta con il candidato e chi sta con il segretario regionale.
Fin qui tra i due ambiti era stato un rimpallo di accuse su chi deva segni di cedimento all’inciucio. Oggi si accorgono che il problema abita a Roma. Ernesto Magorno ha avuto il merito di blindare il «no» a fughe a destra con la sua relazione svolta nella direzione di lunedì scorso. Mario Oliverio quello di farsi carico di notificare, senza se e senza ma, la sua assoluta indisponibilità a guidare una coalizione che, per le gravi contraddizioni interne, sarebbe punita dall’elettorato e non potrebbe mai garantire gli impegni di cambiamento e rinascita sociale e culturale presi durante la campagna delle primarie.
Come è finita? Una risposta ufficiale non c’è: la trasparenza inaugurata dalla stagione Renzi si ferma davanti alle cose che riguardano la Calabria.
Nessun comunicato e nessuna dichiarazione ufficiale da parte dei protagonisti, il che fa crescere il malumore tra i parlamentari e gli attivisti calabresi del Pd.
Del resto, è difficile per chiunque ammettere e spiegare che non ci si trova davanti ad un confronto politico bensì alla presenza di un ricatto: se non si fanno liste congiunte in Calabria i senatori calabresi del Ncd voteranno per far cadere il governo Renzi.
E siccome i ricatti sono come le ciliegie, uno tira l’altro, ecco che la Calabria, qualora dovesse capitolare davanti a tale diktat romano, si troverebbe sempre sull’orlo di un’eterna crisi. I voti di Palazzo Madama verrebbero fatti pesare, questo paventa Oliverio, ogni volta che c’è da fare una scelta, nominare un dirigente, assemblare la stessa giunta regionale. Sempre che si vincano le elezioni, posto che un pezzo del partito e gran parte dei simpatizzanti scapperebbe a gambe levate davanti a una coalizione di centrosinistra infarcita dai “soliti noti” del centrodestra.
E qui si fa strada, addirittura, il dubbio che al Nazareno abbiano chiaro anche questo rischio e siano disposti a correrlo pur di non avere problemi nella traballante maggioranza che al Senato appoggia Matteo Renzi.
Ne consegue che in queste ore si assiste ad un rincorrersi di autoconvocazioni per preparare le barricate a sostegno del “gran rifiuto” opposto da Mario Oliverio ai desiderata di Lorenzo Guerini. Già ieri sera, a Lamezia, esponenti del Pd e amici di Giannetto Speranza si erano incontrati con il sindaco di Lamezia per verificare iniziative comuni. Non manca chi propone di attivarsi nella costituzione di liste civiche di centrosinistra e di moderati a sostegno della candidatura di Mario Oliverio a presidente anche fuori dal Pd.
Un primo risultato lo hanno ottenuto convincendo Oliverio a lasciare Roma, cosa che ha fatto in queste ore, per dimostrare che la trattativa era finita e che sul «no» ad un apparentamento con il Nuovo centrodestra non ci sarebbe stato alcun ripensamento. E al Nazareno è rimasto il cerino acceso.
Paolo Pollichieni
direttore@corrierecal.it
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