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Chiesto il rinvio a giudizio per i genitori di Cacciola

REGGIO CALABRIA «Devono essere processati». Il pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, ha chiesto il rinvio a giudizio per Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, genitori di Maria Co…

Pubblicato il: 18/10/2014 – 8:19
Chiesto il rinvio a giudizio per i genitori di Cacciola

REGGIO CALABRIA «Devono essere processati». Il pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, ha chiesto il rinvio a giudizio per Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, genitori di Maria Concetta Cacciola, la giovane donna morta per aver ingerito acido muriatico proprio nel momento in cui aveva deciso di opporsi all’arroganza della ‘ndrangheta. I genitori della donna sono accusati di maltrattamenti nei confronti dei figli di Maria Concetta, che all’epoca dei fatti avevano 16, 13 e 7 anni. Secondo l’impianto accusatorio, i nonni non avrebbero esitato a usare violenza psicologica sui ragazzi al fine di costringere la mamma a rientrare a Rosarno dalla località protetta dalla quale stava collaborando con la giustizia. La richiesta di rinvio a giudizio arriva dopo la sentenza di primo grado con la quale il gup ha condannato Michele Cacciola a sei anni e sei mesi di carcere; Giuseppe Cacciola a cinque anni e otto mesi; Anna Rosalba Lazzaro a quattro anni e dieci mesi e l’avvocato Vittorio Pisani a quattro anni e sei mesi di reclusione. Tutti accusati, a vario titolo, di aver avuto un ruolo nella morte di Cetta – come chiamavano Maria Concetta – avvenuta nell’agosto del 2011. 

Per i giudici di primo grado infatti, la scelta del suicidio non troverebbe conferma negli «atti di indagine, letti unitamente alle acquisizioni dibattimentali e agli accadimenti immediatamente successivi alla morte della collaboratrice», tanto meno sarebbe suffragata «dallo stato d’animo che la stessa Maria Concetta, nei giorni che ne hanno preceduto la scomparsa, manifestava alle persone con le quali si confidava e che riteneva a lei più vicine».

«Se la causa di morte strictu sensu intesa è innegabilmente quella cristallizzata nel capo di imputazione (più precisamente l’asfissia determinata dall’assunzione di una sostanza altamente tossica acorrosiva) – scrivevano i giudici nelle motivazioni – gli esiti dell’istruttoria dibattimentale svolta – a giudizio della Corte – impongono di concludere che la donna non si sia inflitta autonomamente tale atroce morte ma che sia stata, al contrario, assassinata». 
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