REGGIO CALABRIA È un no rotondo, circostanziato e articolato quello con cui il collegio presieduto da Natina Praticò, con Fiorentini e Castriota a latere, ha rigettato le eccezioni preliminari presentate dal collegio difensivo dell’ex ministro Claudio Scajola e dell’ex segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordelisi. Il collegio ha infatti sposato le argomentazioni del pm Giuseppe Lombardo, che nel rispondere alle eccezioni di nullità del decreto con cui è stato disposto il giudizio immediato a carico dei due imputati, sollevate dagli avvocati Cristina Dello Siesto, legale della Fiordelisi, e Giorgio Perroni e Patrizia Morelli, difensori di Scajola, aveva sottolineato come – stando alle pronunce della Cassazione – la decisione al riguardo spettasse solo ed esclusivamente al gup, il cui giudizio non può essere «oggetto di ulteriore sindacato da parte del giudice del dibattimento». Ma il pm aveva anche voluto evidenziare come la rimodulazione del capo di imputazione contestato a Scajola, avvenuta in sede di Tribunale delle libertà, non abbia implicato alcuna lesione del diritto di difesa per l’imputato, ma anzi una specificazione di tempi, modi e condotte che dovrebbe rendere a Scajola e ai suoi legali ancor più agevole spiegare la propria versione dei fatti. I due capi di imputazione «sono assolutamente sovrapponibili – ha spiegato Lombardo, che nell’intervenire sull’ulteriore eccezione presentata dai legali di Scajola che gli rimproveravano di aver presentato istanza di giudizio immediato a meno di 90 giorni dall’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare, ha aggiunto – è la prima volta che mi sento rimproverare di essere stato celere, tempestivo e di non avere sperperato risorse pubbliche. Ma in un sistema come il nostro può succedere anche questo».
APPUNTAMENTO IL 6 NOVEMBRE PER LE RICHIESTE ISTRUTTORIE
Argomentazioni accolte dal collegio che ha formalmente incardinato il processo, rinviando tutti al prossimo 6 novembre per la formalizzazione delle richieste istruttorie. Scajola, presente in aula accanto al suo avvocato, si è tolto la giacca del severo vestito scuro con cui è arrivato e nelle pause ha tentato più volte di parlare con il pm ostentando un atteggiamento collaborativo. Di tanto in tanto gli è scappata una passeggiata nervosa, e al termine dell’udienza se n’è andato senza quasi aprire bocca. «Sarà di nuovo qui per le prossime udienze», promettono i suoi legali che affilano le armi per il 6 novembre. Un rinvio lungo, necessario per andare incontro alle richieste delle difese che non sono ancora riuscite ad avere concretamente in mano ed esaminare tutti i documenti e il materiale agli atti del procedimento per cui hanno presentato istanza.
LA POSSIBILE LISTA TESTI DEI PM
Tuttavia, in aula circolano già le liste provvisorie dei testimoni che accusa e difese progettano di chiamare a testimoniare. Per il pm Lombardo – avallo del collegio permettendo – dovrebbero sfilare sul banco dei testimoni oltre 160 tra uomini e ufficiali di polizia giudiziaria, vari dichiaranti fra cui l’ex ufficiale dell’Aisi a Dubai, Paolo Costantini, e Luca Salvi, uno dei soci della Fera srl – azienda finita al centro di diversi approfondimenti investigativi anche per quel finanziamento di 5,9 milioni di euro ottenuto nel gennaio 2009, proprio quando a gestire i milionari investimenti per l’innovazione tecnologica era Scajola – e diversi collaboratori di giustizia. Fra i pentiti, potrebbero tornare in aula a testimoniare l’ex braccio destro dei fratelli De Stefano, Antonio Fiume, l’ex capolocale di Gallico, Paolo Iannò, il pentito cosentino Franco Pino, ma anche Umberto Munaò, Emilio Di Giovine, Antonino Rodà e Antonino Zavettieri.
I TESTIMONI DELLE DIFESE
Non altrettanto folta, ma ugualmente “densa”, la lista testi della difesa di Scajola, che fra i testi a discarico per il proprio cliente potrebbe citare anche l’ex presidente libanese e leader delle Falangi Amin Gamayel, Vincenzo Speziali, nipote dell’omonimo ex senatore del Pdl, Sergio Billè, ex presidente di Confcommercio, il livornese Emo Danesi, ex deputato Dc sospeso dal partito nei lontani anni ’80 perché massone, Massimo Dal Lago, ad di Tecnofin, una delle società finite al centro delle informative della Dia agli atti nell’inchiesta, Guido Roveta, patron della Criotec, cui Scajola si è rivolto per procurare un posto di lavoro a Chiara Rizzo, tramite l’ingegner Antonio Della Corte, responsabile dell’Enea e presidente della Icas, consorzio di cui fa parte la Criotec, anche lui chiamato a testimoniare. Ma fra i testimoni che i legali di Scajola vorrebbero convocare c’è anche Enrico Braggiotti, direttore generale della Compagnie Monegasque de Banque, Carlo D’Onofrio, funzionario del Banco di Napoli e l’avvocato Giuseppe Caminiti, chiamato a riferire «in ordine alla candidatura al Collegio XII Reggio Calabria Villa San Giovanni nell’ambito delle elezioni politiche del 2001, alle ragioni delle sua conoscenza con Claudio Scajola e in generale sui fatti al capo B d’imputazione» contestato all’ex ministro.
INAMMISSIBILE L’ISTANZA SULL’AGGRAVANTE MAFIOSA
Nel frattempo, in mattinata si è appreso che il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile «per carenza di interesse» il ricorso della Dda contro la decisione del gip Olga Tarzia che, in sede di emissione di ordinanza di custodia cautelare, aveva escluso l’aggravante mafiosa nei confronti di Scajola e degli altri coimputati. La Dda potrà comunque, all’esito di indagini integrative, proporre una modifica del capo di imputazione che includa l’aggravante mafiosa nel corso o all’esito dell’istruttoria dibattimentale. «Non cambia nulla, si è soltanto chiusa una parentesi» ha spiegato infatti il pm Giuseppe Lombardo uscendo dall’aula. «Il riesame si è limitato a dire di non poter decidere né in favore delle richieste dell’accusa, né in favore delle istanze della difesa perché si tratta di un giudizio servente rispetto al procedimento che aveva già superato la fase delle indagini preliminari con l’emissione del decreto di giudizio immediato». Di diverso avviso il legale di Scajola, Giorgio Perrone, il quale ha affermato che «la non ammissibilità dell’appello sull’aggravante mafiosa mette un punto fermo su questa vicenda». E nonostante il regime di arresti domiciliari gli interdica qualsiasi possibilità di incontro e comunicazione se non con familiari stretti e legali, anche il ministro Scajola si lascia scappare un commento. «Credo che quell’istanza fosse addirittura paradossale» dice, per poi affermare uscendo dall’aula: «Sono al processo per fare emergere la verità che per me è una sola».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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