Nel 2007 Salvatore Martucci, dirigente scolastico crotonese, aveva 56 anni. Essendo cardiopatico – 10 anni prima si era sottoposto a un intervento chirurgico con cui gli erano stati installati tre bypass – non sottovalutò quei frequenti dolori al petto che nell’estate di quell’anno si verificavano anche quando accennava a fare il minimo sforzo. Lo specialista da cui si fece visitare, il professor Ciro Indolfi, si allarmò ancora di più, tanto da consigliargli di ricoverarsi subito per effettuare dei controlli approfonditi. E Martucci così fece: era il 14 luglio e il paziente si affidò subito alle cure del caso nel reparto di Cardiologia del Policlinico di Germaneto diretto proprio da Indolfi. La coronarografia, tre giorni dopo il ricovero, rivelò che il paziente aveva un’occlusione totale di un bypass venoso. Il professor Indolfi prospettò due possibili interventi per arrivare alla rivascolarizzazione: il primo (denominato Stent) sarebbe stato meno rischioso ma anche meno duraturo, a differenza del secondo (bypass attraverso reintervento cardiochirurgico), più pericoloso ma con effetti di lunga durata. Entro il 20 luglio, spiegò il noto cardiologo, bisognava intervenire. Per i familiari fu difficile decidere, così si rivolsero a un altro specialista che consigliò loro di evitare l’intervento chirurgico e propendere per la soluzione, meno invasiva, dello Stent. Successivamente, però, stando al racconto dei familiari, Attilio Renzulli (direttore dell’Unità operativa di Cardiochirurgia) consigliò a Martucci di sottoporsi all’intervento assicurandogli di essere in buone mani.
L’intervento venne eseguito 21 giorni dopo il ricovero, ovvero il 3 agosto 2007. Il paziente entrò in sala operatoria alle 8,30 e intorno alle 13 i parenti furono informati delle sue condizioni, aggravatesi a seguito di alcune complicazioni. Alle 19 fu lo stesso Renzulli a spiegare ai familiari che il loro congiunto si trovava in Rianimazione. Secondo i familiari, quando gli venne mostrato attraverso un monitor, Salvatore era già deceduto, ma la morte fu decretata ufficialmente il 4 agosto 2007. Lo stesso giorno i familiari presentarono un esposto alla Procura di Catanzaro perché poco convinti della versione fornita dai medici.
Con la prima perizia medico-legale, consegnata un anno dopo il decesso, viene fissata l’ora e la causa della morte (conseguente a una “sindrome da bassa gittata” con shock emorragico acuto postoperatorio) ma si chiede al giudice di nominare un cardiologo e un cardiochirurgo per approfondire meglio la vicenda. I periti nominati dalla procura confermano la precedente consulenza e spiegano, in sintesi, che l’intervento è stato eseguito correttamente e non ci sarebbe stato ritardo nella somministrazione delle cure.
Diametralmente opposte, invece, le conclusioni del perito della famiglia Martucci, che rileva un ritardo a suo parere ingiustificato dell’intervento, delle presunte mancanze nella cartella clinica – che, a suo dire, sarebbe stata manipolata con cancellazioni e aggiunte – e degli errori tecnici nell’operazione chirurgica. Ulteriori perizie richieste dalla Procura non aggiungono altri particolari significativi ma, di fatto, confermano la correttezza dell’intervento. La posizione di Indolfi viene quindi archiviata sin da subito, Renzulli invece è rinviato a giudizio ma poi viene assolto per insufficienza di prove.
Il prossimo 27 ottobre comincerà il processo d’appello, e i familiari di Martucci restano convinti del fatto che la morte del loro congiunto si sarebbe potuta evitare. «Hanno cercato in tutti i modi – spiegano – di fare apparire questa morte come conseguenza inevitabile di una complicanza operatoria quando invece – proseguono – è il risultato della negligenza, dell’imperizia e dell’imprudenza dei medici. Non cerchiamo vendetta, ma la verità che, a 7 anni dalla morte del nostro congiunto, ancora non è stata stabilita». Ora spetta ai giudici catanzaresi stabilire se le loro convinzioni siano fondate o se davvero, come stabilito dal procedimento di primo grado, non si poteva fare nulla per salvare Martucci.
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