REGGIO CALABRIA Dice il proverbio: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso». Un adagio che forse anche l’ex sindaco ed ex governatore Giuseppe Scopelliti – in questi anni impegnato ad addebitare le sue disgrazie giudiziarie e politiche a variegati e sempre anonimi “nemici della città” – dovrebbe ricordare, se è vero che anche il Tribunale presieduto da Olga Tarzia, che lo ha condannato a 6 anni di reclusione per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, ha voluto sottolineare che «le dichiarazioni rese dall’imputato Scopelliti in dibattimento sicuramente hanno avuto il pregio di confermare in gran parte la prospettiva accusatoria dando ancora più chiaramente l’idea di una amministrazione solo formalmente in regola, ma sostanzialmente dissestata e orientata verso il perseguimento di obiettivi parziali, colorati personalisticamente e motivati da una forte tendenza a soddisfare l’elettorato del sindaco del tempo e a garantirne l’ulteriore carriera politica».
UN “MONOLOGO” ACCUSATORIO
Un esame dibattimentale, trasformatosi per i giudici in «vero proprio monologo per alcuni tratti», durante il quale – «in maniera contraddittoria» rispetto a tutte le altre testimonianze raccolte, non si stancano di ripetere i giudici – ha tentato – invano – di scaricare sulle spalle dell’allora dirigente Orsola Fallara la responsabilità degli artifici di bilancio che hanno gonfiato i conti del Comune, come degli incarichi – lautamente e illegittimamente retribuiti – per rappresentare Palazzo San Giorgio di fronte alla Commissione tributaria, come dei burrascosi rapporti della dirigente con il resto dell’amministrazione.
E se all’epoca si è lavato le mani – non mancano di ricordare i giudici – riguardo ai numerosi rilievi sulle irregolarità nel bilancio sollevati dalle opposizioni sin dal primo anno della sua amministrazione, «giustificando il suo mancato intervento sulle questioni tecnico-contabili con la necessità di rimetterle ai tecnici (segretario generale, assessori, dirigenti) non avendo competenze specifiche per occuparsene», è invece sul consiglio comunale dell’epoca che ha scaricato la responsabilità di non aver valutato i rilievi della Corte dei conti più volte indirizzati al Comune.
LE GIUSTIFICAZIONI DI SCOPELLITI
Un dribbling poco riuscito se è vero che lo stesso Scopelliti – emerge dalle carte – nel corso dell’udienza era stato costretto ad ammettere «di avere avuto il sospetto – e insieme a lui gli altri componenti degli organi politici – che i bilanci fossero alterati, sicuramente non a opera sua, visti gli ottimi risultati ottenuti sia in termini elettorali che di gestione della cosa pubblica». Un passaggio che i giudici ci tengono a citare per intero e letteralmente perché si rivelerà determinante. Di fronte al collegio, l’ex governatore ha infatti affermato: «Adesso, presidente, noi tutti abbiamo pensato che questo tipo di bilancio avesse delle anomalie e che, quindi, qui qualcuno avesse falsificato il bilancio, avesse messo delle poste diverse, avesse scritto cifre a caso e così via. Questo probabilmente, come dice la dottoressa (il pm Sara Ombra, ndr) sarà anche accaduto, io sicuramente non ho questo… né il mot… non avevo né il motivo e né l’esigenza».
Al contrario – aveva sostenuto all’epoca Scopelliti incalzato dal pm Ombra –, «se io avessi conosciuto e saputo il problema, sicuramente, come fu per Roma e per Catania e per Palermo, avrei chiesto al governo Berlusconi di avere 30-40 milioni di euro di finanziamento straordinario per la città di Reggio, sarebbero bastati per poter fare la normale attività e per andare incontro alle esigenze».
PROVE A CARICO
Dichiarazioni che per i giudici del Tribunale di Reggio Calabria sono state la prova del nove del devastante quadro probatorio a suo carico emerso dalle parole dei tanti testimoni che lo hanno preceduto in aula. «Quanto sopra – si legge infatti in sentenza – lungi dall’essere smentito dall’imputato, ha trovato ulteriore conferma proprio nelle dichiarazioni, rese nel corso dell’esame dibattimentale, avendo lo stesso ammesso di essere stato a conoscenza delle alterazioni del bilancio da parte della dottoressa Fallara (non spiegando però perché non l’abbia rimossa dall’incarico immediatamente), addossando alla stessa, ormai deceduta, tutte le responsabilità».
Una manovra malriuscita per il Collegio, secondo il quale «i tentativi dell’imputato Scopelliti di nascondersi dietro le misconducts della dottoressa Fallara non trovano una composizione logica, sia perché, in linea generale, non è credibile che il sindaco di un Comune di circa 200mila abitanti abbia lasciato il bilancio, ovverossia lo strumento principale per attuare le scelte politiche e per andare incontro alle esigenze degli elettori, nelle mani della dirigente del settore, sia perché vi è in atti la prova del contrario, ovverossia che è stato proprio per garantire le finalità dell’uomo politico che la Fallara ha alterato i dati di bilancio fornendo una rappresentazione diversa da quella effettiva». Ancora, non si stancano di ripetere i giudici, «tutti gli elementi positivamente raccolti escludono che il sindaco Scopelliti abbia rinunciato alla governance dell’ente comunale per rimetterla completamente nelle mani della dottoressa Fallara, la quale, senza che nessuno se ne accorgesse, avrebbe acquisito il potere di gestire le entrate e le uscite del Comune».
UN SISTEMA BLINDATO
La potentissima burocrate «era pilotata in toto dal sindaco del tempo, il quale ha continuato a interferire nell’attività dell’ente anche dopo la nomina regionale». Non a caso – si ricorda in sentenza – l’allora primo cittadino aveva partecipato, anche in qualità di assessore al Bilancio ad interim, alle sedute della giunta e del consiglio comunale sul bilancio e non a caso – sottolineano i giudici – Scopelliti «si era attorniato di assessori totalmente adagiati sulle sue posizioni, alcuni dei quali avallavano lo strapotere della dottoressa Fallara».
Su quel delicatissimo settore, per il Tribunale di Reggio Calabria doveva essere lui solo a regnare grazie a quella inamovibile dirigente divenuta «l’utile e spregiudicato strumento nelle mani di chi aveva tutto l’interesse a occultare le spese dell’ente fatte senza rispettare i meccanismi del bilancio, al fine progettare ed attuare programmi asimmetrici che nulla avevano a che vedere con l’interesse collettivo ma che avevano una forte colorazione personalistica e privatistica evidentemente orientata a riscuotere consenso sociale a fini elettorali».
«PALAZZO SAN GIORGIO È MIO»
Per Giuseppe Scopelliti – sembrano dire i giudici – Palazzo San Giorgio, le sue casse e i suoi conti erano proprietà privata, da utilizzare a proprio uso e consumo. Non solo negli anni della sindacatura. «Non va trascurato – spiega infatti il Collegio – che anche quando Scopelliti aveva lasciato la carica di sindaco dimostrava propensione a distrarre somme di danaro per scopi difformi da quelli per i quali erano state stanziate». Circostanze che per il Tribunale non fanno che confermare «anche sotto il profilo logico, che l’ideatore delle falsificazioni contabili fosse il sindaco Scopelliti, il quale si è avvalso dell’accondiscendenza della dottoressa Fallara per attuare la sua linea politica travalicando e stravolgendo la netta separazione che dovrebbe essere demarcata tra livello politico e livello manageriale nelle pubbliche amministrazioni».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
x
x