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L'allarme (inascoltato) di Salazar

REGGIO CALABRIA Ci sono impagabili servitori dello Stato che sono “condannati” ad attendere anni prima che venga riconosciuto il valore della loro dedizione e la cifra della loro professionalità. A…

Pubblicato il: 27/10/2014 – 13:26
L'allarme (inascoltato) di Salazar

REGGIO CALABRIA Ci sono impagabili servitori dello Stato che sono “condannati” ad attendere anni prima che venga riconosciuto il valore della loro dedizione e la cifra della loro professionalità. A molti di questi la soddisfazione di vedere apprezzata la propria lineare trasparenza e la cifra del loro contributo alla sicurezza della Repubblica ed alla sua tenuta democratica, viene negata dal fato: muoiono prima.

C’è un reggino illustre tra questi ed è il prefetto Domenico Salazar. Quando il Sisde era travolto dagli scandali e dai sospetti serviva un uomo pulito, schivo, inattaccabile ma anche professionalmente dotato. Era il 1993 Cosa nostra aveva dichiarato guerra allo Stato. Reagiva agli ergastoli scatenando i suoi artificieri, dopo avere già eliminato con il tritolo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Domenico Salazar, una vita trascorsa nella Prefettura di Reggio, era stato da poco promosso prefetto di Catania. Il Consiglio dei ministri decide di affidare a lui la direzione di un chiacchieratissimo Sisde. In poche settimane Salazar rimette in piedi la baracca, mette fuori dai giochi gli inaffidabili e manda sul territorio uomini scelti e di provata fede.

È Salazar che per primo capisce la perversa strategia messa in campo da Cosa nostra: spingere lo Stato a trattare. Qualche segnale di disponibilità Riina lo ha già avuto, si tratta di insistere.

È Salazar il primo a mettere nero su bianco la parola “trattativa”. Domani anche di questo verrà chiesto a Giorgio Napolitano, oggi presidente della Repubblica, all’epoca presidente della Camera dei deputati.

«I mafiosi ormai certi di dover trascorrere il resto della loro vita scontando durissime pene, avrebbero raggiunto la convinzione che solo dal caos istituzionale sia possibile ricavare nuove forme di trattativa mirante ad ottenere forti sconti di pena nell’ambito di una più vasta e generale pacificazione sociale», così scrive il 20 luglio 1993 scrive Domenico Salazar. E decide di scriverlo in una nota riservatissima, certo, ma anche ufficiale.

Fa anche un’altra cosa, Salazar, compiendo una scelta coraggiosa e delicata che pagherà con l’allontanamento, rapidissimo come la sua nomina, dal vertice dei servizi segreti civili. Salazar sa che ben prima di lui il Sismi aveva saputo di un piano di cosa nostra per costringere lo Stato alla “trattativa”. Il piano prevedeva non solo bombe ai monumenti ma anche attentati contro figure istituzionali di primo piano e la scelta era caduta su Giovanni Spadolini e Giorgio Napolitano, rispettivamente presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Ma il Sismi quelle notizie aveva deciso di tenerle per sé, Salazar si mette di traverso e nella sua nota del 20 luglio, dopo aver denunciato lo scenario stragista nel quale aveva deciso di operare Cosa nostra, scopre gli altarini del Sismi. E scrive: «In questo ambito potrebbe essere inquadrata la notizia fornita dal Sismi su possibili attentati agli onorevoli Spadolini e Napolitano». È il panico ai vertici del Sismi che si vedono costretti ad “ufficializzare” quelle notizie fino a quel punto tenute nel cassetto. Lo faranno con due note, redatte il 29 luglio e il 4 agosto. Perché attendono nove giorni prima di informare i vertici dello Stato dei progettati attentati contro Napolitano e Spadolini che Salazar rivela in quel documento del 20 luglio?

Oggi quella nota del prefetto Salazar è in possesso della Procura di Palermo che la mette negli atti del processo sulla “trattativa” e nel novero delle domande da porre a Napolitano. A Salazar, purtroppo, non potranno chiedere nulla. E morto quattro anni fa, circondato dal silenzio e accompagnato da quel sorriso triste e da quei tratti di galantuomo vecchio stampo che i reggini apprezzarono sempre e che ancora ricordano.

Paolo Pollichieni

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