REGGIO CALABRIA Un duro lavoro attende Giuseppe Falcomatà. Ancora più duro di quello che si ritrovò a dovere affrontare suo padre, il compianto Italo che pure ad una città stremata e vilipesa seppe regalare una nuova “Primavera”.
Anche allora si usciva da un commissariamento. La Tangentopoli reggina, che si sovrapponeva ad una violenta guerra di mafia che alla fine farà contare oltre 700 morti ammazzati, mandò a casa una intera classe dirigente bollata dalle confessioni di Titti Licandro, giovane sindaco trasformatosi, suo malgrado, in collettore di tangenti per le varie anime della politica reggina. Anche allora i conti erano in dissesto e il commissario Aloisio voleva svendere gli immobili cittadini.
Italo riuscì nell’impresa. Oggi analoga impresa attende il suo figliolo. Giuseppe, all’epoca era appena liceale ma, con ogni evidenza, quella Primavera interrotta dalla brutalità degli uomini ancor prima di quella della malattia, non l’ha mai voluta archiviare. Ed oggi tocca a lui riprendere la guida di una comunità chiamata ad una nuova rinascita, ad un nuovo stile, ad un nuovo decoro.
È generoso l’impegno che si assume Giuseppe Falcomatà. Generosa sia anche la risposta di chi dovrà collaborare con lui.
Se qualcuno ha voluto disperatamente caricare il voto reggino di valenze antiche con richiami alle barricate e ai “Boia chi molla”, ha avuto la sua risposta nella valanga di voti dati a Falcomatà. Reggio ha pagato caro e sulla sua pelle questo eterno richiamo al nemico che sta fuori le porte, ma non ci casca anche oggi. Qualcuno ha invocato in queste settimane il giudizio degli elettori per sottrarsi a quello, chiaro, limpido e motivato con scrupolo, della magistratura. Bene oggi lo ha avuto il giudizio degli elettori: il “modello Reggio” che tante fortune politiche immeritate ha regalato, muore sotto i colpi degli elettori reggini che riabbracciano Falcomatà, la sua figura, la sua storia, il suo stile.
direttore@corrierecal.it
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