VIBO VALENTIA «I rapporti con professionisti, dipendenti pubblici e soggetti che hanno ricoperto o ricoprono cariche politiche hanno avuto un peso molto elevato, come risulta ampiamente da quanto esposto a proposito della vicenda riguardante la speculazione edilizia di Lucernate di Rho. Detti rapporti, per altro verso, hanno costituito il collante del sodalizio atteso che la sua forza intimidatrice si è potuta estrinsecare anche in virtù di detti rapporti i quali hanno certamente cementificato i rapporti tra i sodali». Non ha bisogno di aggettivi né valutazioni di merito il gip milanese Ferraro per cristallizzare in poche frasi il salto di qualità delle ‘ndrine calabresi da tempo insediate in Lombardia: i rapporti con la politica e le istituzioni non solo rappresentano un capitale sociale che la ‘ndrangheta è in grado di spendere per i propri affari, ma si convertono anche in una forma di legittimazione del potere criminale acquisito, aumentando in maniera esponenziale la capacità di intimidazione degli uomini del clan sul territorio.
POLITICI, CAPITALE SOCIALE DEL CLAN A fare paura dunque, non è solo e semplicemente la capacità militare mai nascosta dai clan, ma anche la capacità di controllare uomini chiave nei gangli dell’amministrazione. È quanto emerge dalle carte dell’operazione “Quadrifoglio”, coordinata dal procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, che oggi ha portato all’arresto di tredici persone fra la Calabria e la Lombardia. Su richiesta della Procura e per ordine del gip di Milano, in manette sono finiti gli uomini della famiglia Galati, costola del clan Mancuso da tempo trasferita in Lombardia, e quelli della famiglia Muscatello, da tempo insediati a Mariano Comense, piccolo comune dell’hinterland meneghino su cui il boss Salvatore Muscatello – nonostante fosse agli arresti domiciliari per la condanna per mafia recentemente riportata nell’ambito del procedimento Infinito – continuava a esercitare il proprio dominio assoluto. Ma al di là di affiliati più o meno gravati da precedenti penali, in manette è finito anche l’ex consigliere comunale del Pd Luigi Addisi, originario di Vibo e legato da vincoli di parentela al boss Pantaleone Mancuso. Per gli inquirenti, è lui l’uomo dei Galati all’interno del Comune di Rho.
OBIETTIVO EXPO Grazie ai buoni uffici di Addisi infatti, il clan stava portando avanti un’enorme operazione di speculazione edilizia a Lucernate di Rho. È stato lui a proporre e far passare in consiglio comunale la variazione di destinazione d’uso del terreno che aveva permesso di superare i preesistenti vincoli di edificabilità, permettendo al clan di portare a termine l’operazione, in cui lui stesso aveva investito. Allo stesso scopo si sono consapevolmente prestati Luigi Vellone e Franco Monzini, imprenditori che non si sono tirati indietro di fronte all’affare proposto da Antonio Galati, –considerato elemento di vertice del clan in Lombardia. Un soggetto di cui conoscevano perfettamente la caratura criminale, se è vero che sarà proprio Monzini ad offrire al boss il fittizio contratto di lavoro che gli permetterà di uscire dal carcere, beneficiando della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale. Peccato che il boss, per Monzini non fosse un dipendente ma un socio finanziatore. È a lui e a Vallone che Galati ha consegnato 300 mila euro di illecita provenienza, necessari all’acquisto di del terreno, originariamente a vocazione agricola, ma destinato ad ospitare un vasto complesso immobiliare ad uso abitativo, pensato in vista dell’apertura di Expo. Proprio fra Rho e Pero è stato infatti individuato il sito che nel 2015 ospiterà l’esposizione universale che ancor prima dell’apertura dei battenti, sta facendo girare l’economia lombarda a suon di appalti necessari tanto per la costruzione della struttura, come delle opere connesse. Appalti che proprio grazie a quello che gli inquirenti non esitano a definire “capitale sociale” delle ndrine, erano finiti in mano al clan Galati. Giuseppe Galati, nonostante fosse da tempo detenuto per narcotraffico, anche da dietro le sbarre continuava a gestire grazie ai familiari due società operanti nel settore edile, titolari di alcuni subappalti in alcuni cantieri della “Tangenziale Est Esterna di Milano” , una delle grandi opere inserite nel pacchetto delle “infrastrutture necessarie” per la realizzazione di Expo.
VOCAZIONE IMPRENDITORIALE E ATTIVITÀ “TRADIZIONALI” Una vocazione affaristica che però non ha cancellato, né messo in secondo piano la natura più feroce del clan, che mai si è fatto troppi scrupoli a imporre il proprio potere attraverso violenza, minacce e feroci ritorsioni, come l’incendio doloso dell’automobile di un agente della Polizia Locale di Giussano, “punito” per il controllo stradale in cui è incappato Fortunato Galati, all’epoca denunciato per resistenza e violenza contro pubblici ufficiali, o i tre proiettili inviati alla direttrice del carcere di Monza così “richiamata” dal clan per il mancato accoglimento di alcune istanze presentata dallo stesso Fortunato Galati, in quel periodo lì detenuto. Ad Antonio Galati sono invece riconducibili i feroci pestaggi subiti nel 2007 da un commerciante d’auto, massacrato per un debito inevaso, e da un benzinaio di Cantù che aveva avuto “l’ardire” di rifiutare un pagamento con bancomat alla figlia del boss e per tale “mancanza di rispetto” era stato selvaggiamente picchiato dagli uomini del clan. “Attività tradizionali” parallele alla vocazione imprenditoriale, cui il clan ha affiancato le altrettanto consuete operazioni di intestazione fittizia di beni, la “protezione” assicurata ad alcuni soggetti vicini al clan, coinvolti in pericolosi dissidi con altre ‘ndrine, come il sostegno economico alle famiglie degli uomini del clan detenuti.
A MARIANO COMENSE COMANDA SEMPRE IL BOSS Sostegno fornito anche dagli uomini del clan Muscatello di Mariano Comense, l’altro clan colpito dall’odierna operazione della Dda di Milano, ai familiari di Fortunato Valle, recentemente condannato dalla Corte d’Appello di Milano alla pena di anni 24 di reclusione, quale esponente di vertice del clan costola della potentissima famiglia reggina dei De Stefano in Lombardia. La moglie di Valle, Nadia Scognamiglio è stata infatti più volte sorpresa a parlare con il capolocale di Mariano Comense, Salvatore Muscatello. Nonostante fosse in regime di arresti domiciliari, il boss continuava indisturbato a ricevere affiliati o persone che offrivano favori o ricevevano protezione dall’anziano “capo locale”, come della gestione operativa del clan e soprattutto delle sue relazioni esterne. È infatti all’anziano boss che toccava gestire e mantenere i rapporti tanto con gli uomini degli altri clan – come Benito Cristello, esponente di spicco del locale di Seregno e Giovanni e Giuseppe Morabito, rispettivamente figlio e nipote del superboss Peppe il Tiradritto- tanto con amministratori e imprenditori locali, come ad esempio Emilio Pizzinga ex consigliere comunale di Mariano Comense e membro della commissione Urbanistica del Comune, risultato in rapporti anche con la famiglia Galati.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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