REGGIO CALABRIA Non è un periodo per nulla facile per Giuseppe Scopelliti. La sua parabola discendente, iniziata con la condanna a sei anni di reclusione per falso in atto pubblico ed abuso d’ufficio, sembra ancora non aver trovato fondo, ma adesso alle amarezze politiche e personali si aggiungono anche guai pecuniari. Dopo il poco nobile voltafaccia degli antichi alleati, incassato con quasi inaspettata compostezza, e la plausibile delusione per un risultato elettorale che nonostante premi i suoi come prima lista del centrodestra, in numeri assoluti – 8821 voti – è troppi anni luce lontano dai fasti del “suo” 70% per non lasciare l’amaro in bocca, adesso Giuseppe Scopelliti rischia anche di trovarsi senza casa. E il riferimento non è solo alla sua incerta collocazione politica futura. Il Comune di Reggio Calabria ha infatti registrato presso l’ufficio competente l’iscrizione ipotecaria per metà dell’appartamento che possiede insieme alla moglie, Barbara Varchetta. La coppia è in regime di comunione dei beni – e solo per questo è possibile che in futuro l’ex governatore abbia ancora un tetto sulla testa- dunque il Comune ha potuto ipotecare solo la metà dell’immobile che risulta intestato a entrambi i coniugi, ma Palazzo San Giorgio ha comunque voluto assicurarsi quei trecentomila euro di risarcimento danni, che per ordine della Corte dei Conti l’ex sindaco di Reggio Calabria dovrà pagare in qualità di responsabile dell’acquisto dell’ex fabbrica per la trasformazione degli agrumi Italcitrus. Nel 2003 l’acquisto della fatiscente fabbrica di Catona – pagata all’imprenditore Emidio Francesco Falcone due milioni e mezzo di euro, dopo una perizia che stabilì che il valore dell’immobile era esattamente pari a quanto chiesto dal proprietario – venne definito necessario perché proprio lì avrebbe dovuto sorgere una fantomatica sede Rai. Ma nessuno da viale Mazzini si è mai trasferito in riva allo Stretto, tanto meno quell’immobile ormai in rovina, è mai stato destinato ad altro uso. Con il passare degli anni, la struttura – costruita in eternit – è stata lasciata a marcire, mentre le intemperie hanno portato alla luce l’anima di cemento e amianto che – stando ai progetti all’epoca annunciati – avrebbe dovuto essere rapidamente bonificata. Un pessimo affare per l’allora giunta Scopelliti, ma soprattutto per l’allora sindaco che per quell’incauto acquisto nel 2009 era stato condannato dalla Sezione territoriale della Corte dei conti per un danno erariale di 1,3 milioni di euro. All’esito del secondo grado la somma dovuta è di gran lunga minore, ma in ogni caso rischia di procurare non pochi grattacapi all’ex primo cittadino. Guai che in prospettiva rischiano solo di aumentare quando la sentenza del processo Fallara diverrà esecutiva e all’ex governatore – in attesa del procedimento in sede civile che quantifichi l’ulteriore danno – toccherà pagare la provvisionale fissata dal tribunale presieduto da Olga Tarzia in 120mila euro.
E meglio non se la passa – quanto meno dal punto di vista finanziario – l’ex braccio destro di Peppe Scopelliti, Franco Zoccali. Anche per lui, finito nel mirino della Procura di Catanzaro, per quegli incarichi illegittimamente collezionati e altrettanto illecitamente retribuiti collezionati in Regione, nei giorni scorsi si è proceduto ad un’iscrizione di ipoteca sulla casa di proprietà, a tutela di quei 900mila euro che per ordine del gip di Catanzaro gli devono essere sequestrati. Per i magistrati infatti, quando è approdato a Palazzo Alemanni, Zoccali – che in passato pur incassando una retribuzione da dirigente, aveva solo coperto le funzioni di direttore generale presso il Comune di Reggio e quelle di capo di Gabinetto e capo staff del sindaco della medesima città – aveva in tasca solo una qualifica da funzionario dello Stato, ma non aveva superato il concorso per accedere al settimo livello degli enti locali che qualifica i dirigenti, né tantomeno possedeva titoli equipollenti, dunque non era in possesso dei requisiti minimi per ricoprire le funzioni – e retribuzioni – che gli sono state assegnate. Sontuosi stipendi nei mesi scorsi divenuti di pubblico dominio all’esito dell’ispezione della Ragioneria dello Stato negli uffici di giunta e consiglio regionale, ma già in passato oggetto di diverse interrogazioni dei consiglieri regionali di minoranza. Soldi che oggi Zoccali è tenuto a restituire, a meno che non voglia vedere la sua casa messa all’asta.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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