REGGIO CALABRIA Ha fatto sapere tramite il suo legale Candido Bonaventura che sarà in aula domani, come in occasione di tutte le udienze del processo che la vede imputata, Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, alla sbarra insieme allo storico braccio destro del marito, Martino Politi e la segretaria dell’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, Roberta Sacco. A vario titolo, sono tutti accusati aver aiutato l’ ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, a sottrarsi all’esecuzione di una condanna per mafia, nonché ad occultare il suo patrimonio. Un quadro accusatorio desunto non solo dalle le innumerevoli conversazioni registrate fra Scajola e la Rizzo, come gli altrettanto monitorati incontri, spesso mediati e organizzati dalle segretarie dell’ex ministro e di Matacena, ma anche da una serie di incroci societari e operazioni finanziarie – documentati con precisione certosina dalla Dda – che avrebbero permesso a Matacena di spostare la titolarità di diverse società, con sede nei più diversi paradisi fiscali. Operazioni ad orologeria, ricostruite in dettaglio dalla Procura, e che secondo i pm sarebbero state scadenzate sulla base del complicato e lungo iter dei procedimenti a carico di Matacena. Un’ipotesi già emersa nelle prime fasi di indagine e confermata dalle successive acquisizioni, a partire da quelle scaturite dagli approfondimenti disposti sul materiale sequestrato a casa di Maria Grazia Fiordelisi, segretaria e custode dell’archivio riservato dei coniugi. Per i pm, si tratta di un progetto che correva parallelo alle manovre –raccontate in dettaglio nel corso delle conversazioni fra l’ex ministro e “Lady champagne”- necessarie per individuare «uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l’estradizione del Matacena o la rendesse quanto meno molto difficile e laboriosa. Tale Stato – spiega il gip – lo Scajola lo individuava nel Libano, impegnandosi con personaggi esteri di rango istituzionale per ottenere tale appoggio per tramite di importanti amicizie (Vincenzo Speziali junior, oggi anche lui indagato, ndr)». Un’esigenza, scriveva al riguardo il gip Olga Tarzia, “generata da un timore preciso: che il 20 febbraio del 2014 fosse emessa la sentenza nel procedimento pendente a Dubai, cui sarebbe potuta conseguire l’espulsione da quel Paese, con il rischio di essere tratto in arresto e trasferito in Italia per scontare la pena”. Un quadro di per sé inquietante, ma che oggi potrebbe addirittura aggravarsi. In occasione dell’ultima udienza del procedimento che si svolge con rito ordinario e vede oggi imputati l’ex ministro Scajola e la Fiordelisi, il pm Giuseppe Lombardo ha infatti annunciato il deposito di nuovi atti relativi alle attività integrative di indagine riguardanti tanto gli imputati di quel processo, come quelli dell’ abbreviato. Sebbene nessun particolare – allo stato – filtri sulla produzione documentale che entrerà a far parte del procedimento, l’impressione è che l’inchiesta possa andare ben oltre l’attuale perimetro, arrivando probabilmente a lambire quelle inquietanti ipotesi comparse nel decreto di perquisizione emesso a carico di Scajola e degli altri imputati l’8 maggio scorso. Un documento che collocava l’ex ministro, la Rizzo e gli altri coimputati al centro di uno scenario molto più complesso ed ambiguo di storia di favori incrociati, identificandolo piuttosto come ingranaggio fondamentale di un sistema, o meglio – recita il capo di imputazione che fa bella mostra di sé nel decreto di perquisizione – di una «associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata “‘ndrangheta” da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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