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Il "sistema" che ha protetto Matacena e Dell'Utri

REGGIO CALABRIA È plausibile ipotizzare che il medesimo sistema abbia offerto protezione all’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, e allo storico braccio destro di Silvio Berlusconi, Ma…

Pubblicato il: 13/11/2014 – 16:31
Il "sistema" che ha protetto Matacena e Dell'Utri

REGGIO CALABRIA È plausibile ipotizzare che il medesimo sistema abbia offerto protezione all’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, e allo storico braccio destro di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri? Stando alla nota della Dia depositata a sostegno del parere con cui il pm Giuseppe Lombardo ha detto no alla scarcerazione dell’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, la risposta sembrerebbe essere affermativa. Si tratta di cinque paginette – scarne, ma estremamente significative – che riportano le conversazioni captate fra l’ex ministro e Vincenzo Speziali, l’omonimo nipote dell’ex senatore del Pdl, oggi anche lui indagato perché sospettato dalla Procura di far parte di quella «associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata ‘ndrangheta da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale», che gli inquirenti hanno iniziato a ricostruire proprio a partire dalle innumerevoli telefonate fra l’ex ministro Scajola e Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, oggi imputata in abbreviato.
Un’associazione che avrebbe avuto nell’ipotesi della Procura un interesse preciso e specifico nel garantire la libertà e operatività di Matacena quale – ipotizzano i pm – «stabile interfaccia della ‘ndrangheta, nel processo di espansione dell’organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello». Ed è proprio in questo quadro che si incastrerebbe il progetto di spostare l’ex parlamentare di Forza Italia in Libano, dove avrebbe goduto di asilo politico, documenti e piena libertà d’azione. Un progetto – ha confermato nei mesi scorsi Scajola di fronte ai pm – che chiama in causa direttamente Speziali. Per i pm, è lui il soggetto che avrebbe curato i contatti istituzionali internazionali che avrebbero dovuto permettere a Matacena non solo il trasferimento in Libano, ma anche una persistente operatività. Manovre che a differenza di quanto sostenuto dai legali di Scajola, sarebbero andate avanti fino a qualche giorno precedente all’arresto dell’ex ministro. «A meno di 48 ore dell’arresto di Scajola, ancora questo chiedeva a Speziali – utilizzando un linguaggio criptico – notizia sulla fattibilità dello spostamento del latitante».
Il 6 maggio, le cimici dei Ros registrano infatti un’ultima chiacchierata fra i due, durante la quale si ascolta Scajola chiedere «se non riusciamo a fare niente per farlo avvicinare». Istanze di fronte cui Speziali tenta di mettere le mani avanti: «Me lo avevi già detto quando stava partendo, giovedì primo maggio, e ti avevo detto che questa soluzione era più facile… ma ti devo spiegare anche una vicenda, a voce». Speziali è prudente, sa che nonostante tutte le precauzioni il rischio di essere intercettati c’è ed evidentemente le manovre in corso è bene che non raggiungano orecchie indiscrete, ma a Scajola che preme anticipa: «Del mio interlocutore, che ho capito che non è, diciamo Taviani, tanto per essere inte… per capirci cioè, non… non ha le fattezze per gestire alcuni apparati, e questo io non lo sapevo e sono rimasto sconcertato».
Apparati la cui natura non viene specificata, ma il cui peso specifico sembra essere tanto significativo da lasciare interdetto un personaggio come Speziali, che le indagini hanno mostrato in grado di manovrare fra l’Italia e il Libano, scomodandone i massimi rappresentanti istituzionali come l’ex capo di Stato Amin Gemayel. Una rete – ipotizzano gli investigatori – che per Matacena si sarebbe attivata quanto meno dal 17 ottobre 2013, quando gli investigatori registrano la prima delle da tempo frequenti conversazioni fra la moglie dell’ex parlamentare e l’ex ministro Scajola, durante la quale si faccia accenno alla capitale libanese come possibile rifugio dell’ex parlamentare già all’epoca latitante. «Beirut – dice allusivamente Scajola, pregando la Rizzo di non insistere per avere dettagli – è una grande Montecarlo, una grandissima Montecarlo e Dubai è una grande Montecarlo, tanto per essere chiari».
E nella Montecarlo del Mediterraneo – stando a quanto emerso dalle conversazioni oggi rese pubbliche – anche Dell’Utri, grazie alla medesima rete, avrebbe trovato rifugio. A rivelarlo, è un’altra telefonata, registrata dopo l’arresto di Dell’Utri in Libano, dove Speziali si è in quelle ore precipitato. «Claudio – sintetizza la Dia nella sua nota – poi domanda a Vincenzo se per l’altro loro amico ci sarà la stessa possibilità (si riferisce ad Amedeo Matacena) Vincenzo lo interrompe dicendo: “Claudio, per cortesia abbi pazienza… non è proprio il caso! E dicendo questa frase si dimostra molto infastidito della trattazione dell’argomento».
Un fastidio che cresce di fronte all’insistenza di Scajola: «Claudio, una cosa per volta, ti prego, sono appena arrivato», registrano le cimici della Dia. Conversazioni che per la Dia hanno un significato univoco: «In sostanza, il progetto di Scajola per aiutare Matacena Amedeo, non sembra abbia mai subito un atteggiamento di resa, nel corso di queste investigazioni, sulla possibilità di spostare in altro Stato il latitante».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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