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CASO SCAJOLA | La società Fera e l'ombra di Matteo Messina Denaro

REGGIO CALABRIA Non sono i puntuali, milionari, finanziamenti del ministero della Attività produttive piovuti sulla Fera grazie ai «buoni uffici di Matacena» – secondo quanto emerge dalle ultime in…

Pubblicato il: 15/11/2014 – 10:02

REGGIO CALABRIA Non sono i puntuali, milionari, finanziamenti del ministero della Attività produttive piovuti sulla Fera grazie ai «buoni uffici di Matacena» – secondo quanto emerge dalle ultime informative depositate dal pm Giuseppe Lombado nell’ambito del processo Scajola – ad aver catapultato per la prima volta la nota società di produzione di energia alternativa nel mirino dei magistrati. In passato, infatti, la Fera era già stata bollata come «impresa sponsorizzata da Cosa nostra» dai magistrati della Dda di Palermo che coordinano l’inchiesta “Eolo”, l’indagine che ha inchiodato il clan Tamburello di Mazara del Vallo.

In quella zona, tra il 2003 e il 2004 la Fera sviluppa un progetto per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica denominato “Vento di vino”, che entra in rotta di collisione con un ulteriore progetto di parco eolico, sponsorizzato da una cordata di politici e mafiosi. A garantire gli interessi della Fera – si legge nelle carte di quell’indagine – sarà e l’ex capo dell’ufficio tecnico del Comune di Mazara, l’architetto Pino Sucameli, già in carcere da tempo per mafia e appalti pilotati quando l’operazione “Eolo” viene eseguita. Sucameli è un uomo d’onore, ammesso alla tavola del potente capo cosca Mariano Agate già quando Totò Riina trascorreva la latitanza a Mazara, dunque la sua è una parola che pesa. E sarà lui a esprimere tutto il proprio disappunto quando gli interessi della Fera verranno messi in discussione, sottolineando che «è cosa nostra». E forse non a caso se è vero che quello stesso parco eolico sarebbe finito nel mirino della potentissima famiglia di Matteo Messina Denaro. L’indagine “Eolo” infatti non è l’unica indagine siciliana in cui sia inciampata la Fera.

 

L’ombra di Matteo Messina Denaro

Il nome dell’azienda con sede a Milano, ma interessi un po’ in tutta Italia compare anche tra gli atti dell’indagine “Eden”, che ha svelato il circuito dei fedelissimi più vicini al superlatitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, e soprattutto i loro affari. Affari come quello dei parchi eolici, sontuosamente finanziati da istituzioni nazionali e comunitarie, per questo irrinunciabili per i clan, anche se in un Comune diverso da quello in cui la famiglia imperversa. Nel mirino del clan, per questo era finito anche il parco eolico di Mazzara del Vallo, la cui realizzazione era stata affidata alla Fera srl, che a sua volta avrebbe affidato alla Cedelt la gestione del cantiere. E proprio dalla Cedelt, le imprese direttamente riconducibili ai familiari di Matteo Messina Denaro avrebbero ottenuto il subappalto. Circostanze di cui sarebbe stato perfettamente a conoscenza Sebastiano Falesi, proconsole della Fera in Sicilia, che quando Filardo viene arrestato nell’operazione “Golem”, entra in agitazione. A svelarlo agli inquirenti sono state in primo luogo le conversazioni fra Alberto Gatta, ingegnere della Cedelt, e Antonino Lo Sciuto, stretto collaboratore di Filardo. A quest’ultimo, Gatta avrebbe riferito che Falesi gli avrebbe chiesto di individuare sul territorio ditte diverse da quelle riconducibili al cugino del boss, finito in manette. Una richiesta che avrebbe fatto inalberare Lo Sciuto che – si legge nelle carte – «chiariva ulteriormente che il Falesi era perfettamente consapevole dei “delicati” equilibri esistenti nell’area di Mazara del Vallo. poiché tale argomento era stato affrontato con lo stesso Falesi nel corso di un incontro».

 

Le rivelazioni del cugino del boss

Un quadro che sarà Lorenzo Cimarosa – uno dei cugini del boss Messina Denaro che ha deciso di diventare un dichiarante («poiché io e tutta la mia famiglia siamo stanchi di subire arresti, condanne e sequestri per causa di Matteo Messina Denaro, il quale pensa solo a stesso e a gestire la sua latitanza») – a confermare. Agli inquirenti Cimarosa, infatti, conferma: «Dopo l’arresto di mio cognato Giovanni Filardo, nel 2010 si pose un problema per la prosecuzione dei lavori per il parco eolico di “Vento di vino”, a Mazara», così «la committente dei lavori, la Fera, si era rivolta alla Cedelt, che gestiva sul campo le opere, per chiedere la nostra estromissione» in quanto i due controllavano la quasi totalità dei lavori. La Cedelt si rivolse a Nino Durante (fratello dell’ex presidente di Confindustria Trapani, Davide Durante) che «non avendo personale e mezzi specializzati su tali lavori si rivolse sempre a Lo Sciuto. A un certo punto io e Lo Sciuto ci recammo ad Avellino e concludiamo l’affare con la Cedelt. Successivamente stipuliamo i contratti come MG e BF. Ribadisco che dai proventi dell’appalto che Mg svolse in quel campo eolico trassi i 60 mila che Francesco Guttadauro mi chiese per il latitante». Tutte circostanze che probabilmente non sarebbero state sconosciute ai vertici della Fera, che sembrano quasi aver suggerito la soluzione per aggirare gli eventuali controlli della magistratura. Non a caso, Alberto Gatta, rappresentante della Celdelt, in una conversazione intercettata diceva ad Antonino Lo Sciuto: «Il messaggio che hanno voluto dare loro è di avere a che fare con un’impresa che è tranquilla, magari che è di Confindustria e quant’altro… e ci hanno presentato a questo Durante». La Fera – c’è da specificarlo – non è mai stata indagata, ma curiosamente ha sempre evitato di costituirsi parte civile nei procedimenti in cui è stata coinvolta.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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