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Operazione verità su Gioia Tauro

Il fatto che si fosse a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale non ha impedito che su Gioia Tauro, intesa come porto e area di sviluppo industriale, si cominciasse a fare una operazi…

Pubblicato il: 18/11/2014 – 13:57
Operazione verità su Gioia Tauro

Il fatto che si fosse a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale non ha impedito che su Gioia Tauro, intesa come porto e area di sviluppo industriale, si cominciasse a fare una operazione verità. Il riferimento è al convegno voluto da Mario Oliverio per dire con chiarezza quello che la Regione Calabria dovrebbe fare per voltare pagina. Importante la relazione di base del professor Russo, certo. Importanti i concetti espressi dai sottosegretari Umberto Del Basso De Caro e Marco Minniti, certissimo. Ma ancora più importante è quello che si poteva cogliere al margine del convegno: l’eterno braccio di ferro tra chi vorrebbe imporre una svolta e chi, invece, tenacemente spera che nulla cambi.

Almeno il 30% dei presenti era lì ad augurarsi che anche questa bufera politica passi senza far danni, che le cose promesse (ma per alcuni è corretto dire “minacciate”) da Mario Oliverio non si realizzino mai e il porto resti quello che è: un deposito costiero, lasciato in balìa di un’azienda privata che sarà internazionale ma pensa napoletano: «Chiagne e fotte».

Minaccia di andare via, ma non lo fa. Incassa prebende pubbliche ma critica ferocemente la politica uscente per blandire quella entrante. Morto il re, viva il re: archiviato Scopelliti, viva Oliverio, purché i monopolisti restino tali, l’autorità portuale resti immobile, lo Stato rimanga sul banco degli imputati, i sindacati si accontentino di un poco di potere nelle assunzioni.  

Nessuno ritiene di dovere spiegare le cose semplici: perché oltre la metà delle gru sta con il “braccio” alzato, vale a dire è in coma e non opera? Perché il rapporto tra una gru e la banchina servita è di 80 metri in tutto il mondo mentre a Gioia Tauro è di una gru ogni 300 metri? Perché la piattaforma logistica è solo un ricettacolo di macchine giapponesi che arrivano, sostano e ripartono per l’Africa? Perché in piena estate un commissario alla sua seconda proroga al vertice dell’Autorità portuale fa partire un bando di gara per la gestione (trentennale) del terminal ferroviario con un solo concorrente che poi è costola di chi ha già il monopolio delle banchine del porto? Perché lo stesso commissario, incassata la terza proroga, non provvede a bloccare il bando di gara che scade il primo dicembre e mette la nuova Regione davanti a un fatto compiuto?

Tutti interrogativi che aleggiavano attorno al convegno di Gioia Tauro ma ai quali nessuno ha risposto. E non potevano certo farlo i sindacalisti; non poteva certo farlo l’ex sindaco e oggi imprenditore Aldo Alessio. Men che meno era da pretendere che lo facesse Bagalà, amministratore delegato della Medcenter italiana.

Nei loro rispettivi interventi c’era una sola vittima: la povera azienda monopolista. E un solo responsabile: lo Stato italiano che non abbassa le tasse, non cala le accise sui carburanti, non spende soldi in nuove infrastrutture. Sugli otto milioni che le casse statali versano in ammortizzatori sociali per i soli dipendenti della Mtc, neanche una parola. Anzi una parola si è detta: l’anno prossimo gli esuberi saranno in numero maggiore e serviranno altri soldi.

Ci pensa Marco Minniti a spiegare che il governo non intende più accettare il giochetto del cane che si morde la coda: non c’è sviluppo perché mancano le infrastrutture e non ci sono le infrastrutture perché manca il mercato delle spedizioni. Respinge al mittente la tesi, cara a Bagalà, che in Calabria non sappiamo neanche leggere una lettera scritta in inglese: «Posso assicurare che sappiamo anche rispondere alle lettere in inglese, semmai c’è da chiedersi perché si reclutano manager e tecnici che non lo sanno fare lasciando a casa quelli molto più bravi». E dice chiaro che se qualcuno pensa di puntare tutto e solo sul transhipment sbaglia: «Difendere l’esistente è una tappa non un obiettivo».

E cosi la claque che si è spellata le mani per applaudire “il padrone delle ferriere”, si trova bella e spiazzata da un autorevole rappresentante del governo che, a nome di Renzi, informa che è suonata la campanella e la ricreazione è finita. Lo fa Minniti ma lo fa anche, con eguale autorevolezza, Umberto Del Basso Caro: «Non ci sarà un’autorità portuale sovra-regionale, quella di Gioia Tauro resterà saldamente in mani calabresi. Gioia Tauro entra tra i cinque porti strategici del sistema Paese. Zes, degassificatore e piattaforma del freddo, in uno con l’alta velocità e l’alta capacità ferroviaria, saranno i temi da affrontare da subito nella cabina di regia voluta da Renzi». Qualcuno, ora, provveda a informare l’ex assessore regionale ai trasporti Lugi Fedele che, invece, brigava presso il ministro Lupi per allargare a Messina l’autorità portuale di Gioia Tauro.

Sul resto, lo diciamo subito, nessuno torna a casa con la certezza in tasca. Tutte le cose dette, le analisi proposte e le iniziative promesse debbono essere sottoposte a verifica. Oliverio parla di un costante monitoraggio da attuare per verificare quotidianamente il divenire delle cose in quel di Gioia Tauro. È questa, sicuramente, la precondizione per ogni ulteriore passaggio in direzione dello sviluppo di quell’area e, più in generale, della Calabria e del sistema Paese. Ed è proprio il monitoraggio che è mancato fin qui l’elemento che ha consentito a chiunque (‘ndrangheta compresa) avesse un orticello di coltivarselo senza dar conto delle erbacce che crescono intorno al porto… ed anche al suo interno.

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