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Colpo alla cosca emergente di Cosenza

CATANZARO Duro colpo inferto alle prime luci dell’alba alla cosca degli “zingari” tra Cosenza e Paola, dove, con un’operazione congiunta di polizia e carabinieri, coordinata dalla Dda di Catanzaro,…

Pubblicato il: 27/11/2014 – 13:11
Colpo alla cosca emergente di Cosenza

CATANZARO Duro colpo inferto alle prime luci dell’alba alla cosca degli “zingari” tra Cosenza e Paola, dove, con un’operazione congiunta di polizia e carabinieri, coordinata dalla Dda di Catanzaro, sono finiti in manette 20 presunti affiliati alla cosca del Cosentino. Fermato anche il presunto boss, Maurizio Rango che, secondo le indagini, dalla morte di Michele Bruni e dalla scomparsa del fratello Luca, avrebbe preso in mano le redini dell’attività criminale, anche grazie al matrimonio con la nipote di un altro presunto capo clan cosentino, Giovanni Abbruzzese.

Le indagini, i cui risultati sono stati illustrati in una conferenza stampa tenuta dal procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, dall’aggiunto Giovanni Bombardieri, dal vice questore di Cosenza, Giuseppe Zanfini, e dal colonnello Franzese, dell’Arma dei carabinieri, hanno permesso di fare luce su un complesso quadro di attività illecite, dal traffico di stupefacenti all’estorsione finanche al controllo dei parcheggiatori abusivi, retto proprio da Rango supportato dal suo luogotenente Adolfo Foggetti.

Secondo le ricostruzioni infatti, all’indomani del vuoto creato dalle operazioni di polizia giudiziaria nei confronti delle cosche Lanzino, Serpa e Cicero, Rango era stato in grado di diventare il punto di riferimento per la gestione degli interessi della criminalità organizzata tra Cosenza e Paola: «Si è trattato di un’operazione certosina – ha spiegato Bombardieri – che ha permesso di bloccare l’attività illecita di una cosca che stava diventato molto potente grazie al vuoto creatosi nelle figure apicali dopo diverse operazioni che avevano azzerato i vertici di cosche preesistenti».

L’attività criminale nel ramo delle estorsioni era probabilmente quella più redditizia e veniva perpetrata attraverso i canali di intimidazione classici: «Colpi di pistola e bottiglie incendiarie erano i metodi utilizzati dagli esponenti della cosca per indurre i titolari di attività economiche a pagare – ha chiarito Zanfini –. Abbiamo anche accertato che si era arrivato anche a ferire con dei colpi di pistola un cameriere di un ristorante per indurre il titolare dell’attività a piegarsi alle richieste della cosca». Ma l’attività criminale aveva allargato i propri tentacoli anche all’occupazione forzosa delle case popolari dove, in alcuni casi, i residenti venivano sfrattati e gli immobili “venduti”.

Un dato significativo riguarda la scarsissima collaborazione riscontrata dagli inquirenti da parte delle persone taglieggiate: «Nella maggior parte dei casi, chi subisce un’intimidazione, viene a denunciare il fatto ma non segnala di essere vittima del racket – ha proseguito Zanfini –. Se invece ci fosse più apertura sotto questo aspetto, le indagini potrebbero orientarsi sin da subito verso alcuni canali. Ancora una volta, quindi, è necessario fare un appello e chiedere a tutti i commercianti e agli imprenditori di avere fiducia nelle istituzioni: se tutte le persone che subiscono intimidazioni a scopo di estorsione sporgessero denuncia, le ritorsioni nei loro confronti sarebbero impossibili. In questi casi, l’unione fa la forza».

 

«NON CI SONO TALPE»

L’operazione di oggi sembrerebbe essere quindi la conferma alle dichiarazioni che un detenuto aveva rilasciato nei giorni scorsi alla polizia penitenziaria, il quale si era detto sicuro che ci sarebbe stata un’operazione contro la cosca cosentina oltre al progetto di un attentato nei confronti di Pierpaolo Bruni, pm della Dda di Catanzaro, pensato da cosche della ‘ndrangheta del Crotonese, del Cosentino, tra cui proprio quella degli “zingari” e anche di Lamezia Terme per la pressione esercitata dal magistrato che ha coordinato diverse inchieste sul territorio. Inoltre, ulteriore riscontro alle parole del detenuto, potrebbe essere anche l’irreperibilità di cinque degli indagati ai quali non è stato quindi possibile notificare l’ordinanza di custodia cautelare.

Il dubbio dell’esistenza di informatori interni alla Procura di Catanzaro, si era quindi fatto forte, ma oggi il procuratore capo Lombardo si è affrettato a chiarire: «Non ci sono talpe nella nostra Procura, al massimo si sarà trattato di una fuga di notizie da parte di uno dei tantissimi collaboratori di giustizia sentiti in questa o in altre inchieste».

La postilla successiva, però, lascia spazio a interpretazioni più ampie: «Anche se ci fosse una talpa, non sarebbe comunque nostra competenza accertarne l’esistenza, ma sarebbe competenza della Procura di Salerno».

 

Alessandro Tarantino

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