REGGIO CALABRIA Una ricarica telefonica, qualche decina di euro, un giro in moto: erano questi i “compensi” che un cinquantenne della Piana di Gioia Tauro, offriva alle sue vittime – tutti minori, fra i 14 e i 16 anni – in cambio di rapporti sessuali mercenari, ma mai completi. Circostanze che all’uomo – che per rispetto nei confronti delle vittime verrà indicato solo con le iniziali, G. C. – sono costate una condanna a sei anni e dieci mesi di carcere, chiesta e ottenuta dal pm Roberto Di Palma che ha coordinato la delicatissima indagine nata dalla denuncia della madre di una delle vittime, un quattordicenne affetto da un lieve ritardo mentale. La donna, stupita dall’apparentemente inspiegabile nervosismo del figlio, dopo molte insistenze era riuscita a farsi raccontare delle molestie subite da quell’uomo che prima aveva conquistato la fiducia del ragazzino con piccoli regali, attenzioni e giri in moto, quindi lo aveva portato a casa sua col pretesto di mostrargli dei cd con materiale pornografico.
Sarebbe stato allora che il cinquantenne avrebbe provato ad abusare del ragazzino, in grado tuttavia di sfuggire all’uomo prima che fosse completata la violenza. Un incubo confermato dai medici dell’ospedale di Gioia Tauro, che dopo averlo visitato hanno confermato alla donna la parziale violenza subita dal ragazzo. Abusi immediatamente denunciati dalla madre, che ai carabinieri darà anche precise indicazioni sull’uomo, rapidamente individuato dai militari anche perché, a distanza di pochi giorni dalla tentata violenza sul ragazzo, avrebbe cercato nuovamente di avvicinarlo, tentandolo con una piccola somma e cercando al contempo di accarezzarlo. Un metodo non nuovo per l’orco, che all’indomani della perquisizione disposta nel suo appartamento all’indomani dell’arresto deciderà infine di rompere il silenzio che aveva mantenuto fino a quel momento. Nei suoi computer, infatti, i militari troveranno una serie di video e foto di natura pornografica e pedopornografica, che mostravano diversi ragazzini, tutti facilmente identificabili come minori, ritratti da soli o in compagnia dell’indagato in chiari atteggiamenti di natura sessuale. Materiale da cui – annotano gli inquirenti – «era facile desumere come l’indagato prediligesse vittime di sesso maschile, preferibilmente obese che adescava facendosi credere un artista dedito allo studio del corpo umano». Una prova schiacciante, di fronte alla quale il cinquantenne ha deciso infine di parlare con il pm Di Palma per “chiarire” la propria posizione. Di fronte al magistrato, l’uomo non ammetterà mai la tentata violenza ai danni del ragazzo che contro di lui ha sporto denuncia, ma ammetterà una serie di rapporti – a suo dire consensuali – con ragazzi minorenni, spesso stranieri, tutti provenienti da situazioni di degrado e di povertà spesso estrema. «Ho le mie debolezze – ammette in sede di interrogatorio – in quanto sono andato con ragazzi piccoli. Quello che è emerso negli ultimi anni della mia vita mi ha distrutto. Chiedo scusa a tutti, in particolare ai ragazzi che hanno aderito alle mie debolezze». Si mostra pentito, cosciente di aver fatto una cosa sbagliata, ma “vittima” della sua stessa perversione. «Da un lato – afferma – stavo invadendo una categoria umana, quella dei ragazzi, che ho sempre adorato, dall’altra traevo piacere». Un “gorgo” che avrebbe iniziato a risucchiarlo oltre dieci anni fa, quando a tentarlo sarebbe stato un adolescente chiaramente omosessuale cui dava ripetizioni e che avrebbe aperto la strada a dieci anni di “contatti proibiti” con ragazzini dai tredici ai sedici anni, spesso incontrati per caso o agganciati in strada, anche grazie a quella moto usata come un’esca irresistibile per gli adolescenti. Tutti o quasi stranieri, tutti o quasi bisognosi di denaro – – con nessuno di loro l’uomo sarebbe arrivato ad avere un rapporto completo, ma tutti sarebbero stati filmati. «Ho sempre cercato di uscire da questo tunnel – dice l’uomo quasi a mo’ di giustificazione – ed è per questo che ho deciso di filmare gli incontri. Da circa sette anni registro quindi i video per “uscire fuori” e continuare a guardare i video non compiendo più le medesime azioni». Per lui – afferma – quei filmati erano come «una bustina di droga» necessaria a calmare la crisi d’astinenza da quei rapporti che sapeva morbosi, sbagliati, eppure – sostiene – «pagavo i ragazzi e loro in seguito mi contattavano spontaneamente. Quasi tutti erano fidanzati e ciò mi faceva sentire meno in colpa». Pratiche durate anni, fino a quando non ha “agganciato” l’ultima, forse più debole vittima, un ragazzo affetto da un leggero deficit cognitivo, incontrato al centro commerciale e progressivamente avvicinato con piccoli regali, videogiochi, piccole somme, ma terrorizzato a tal punto da quanto avvenuto nella casa in cui dopo mesi l’uomo l’ha portato, da spingerlo a denunciare l’orrore vissuto.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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