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I calabresi di Mafia capitale

REGGIO CALABRIA Ci sono anche tre calabresi nell’organigramma di Mafia capitale, l’organizzazione criminale messa a nudo dall’operazione “Mondo di mezzo” della Dda di Roma che ha portato all’arrest…

Pubblicato il: 03/12/2014 – 10:30
I calabresi di Mafia capitale

REGGIO CALABRIA Ci sono anche tre calabresi nell’organigramma di Mafia capitale, l’organizzazione criminale messa a nudo dall’operazione “Mondo di mezzo” della Dda di Roma che ha portato all’arresto di 37 persone e all’iscrizione sul registro degli indagati di un centinaio di sospetti, fra cui l’ex sindaco Gianni Alemanno. Per gli inquirenti fanno parte di quell’organizzazione della criminalità romana cresciuta anche sulle ceneri della Banda della Magliana e che da questa ha mutuato «alcune delle sue principali caratteristiche organizzative, quali il legame con appartenenti ai movimenti eversivi della destra romana, che, come si vedrà più avanti, sembra essersi evoluto in parallelo all’evoluzione di alcuni dei principali esponenti di quel movimento, divenuti nel frattempo rappresentanti politici o manager di enti pubblici economici; il rapporto paritetico con i rappresentanti sul territorio romano delle organizzazioni mafiose tradizionali; la protezione derivante da legami occulti con apparati istituzionali; il perdurante legame con la malavita di strada, vale a dire con soggetti dediti a rapine, traffico di stupefacenti, usura».

 

MAFIA CAPITALE E IL MONDO DI MEZZO

Si tratta – dice il gip – di un gruppo criminale evoluto «che costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che si sono evolute, in alcune loro componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana, definitivamente trasformate in Mafia capitale». Un’organizzazione criminale tanto pericolosa quanto poliedrica che nessuno meglio del suo massimo esponente ad oggi conosciuto e arrestato – quel Massimo Carminati, che da storico esponente dell’eversione nera firmata Nar è stato coinvolto ed è uscito quasi incredibilmente indenne da tutti i grandi processi su stragi e omicidi di Stato degli anni Settanta – è riuscito a definire. Intercettato dagli investigatori, il Pirata – così Carminati viene chiamato – spiega al suo braccio destro Brugia: «È la teoria del mondo di mezzo compà. ….ci stanno… come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo. E allora….e allora vuol dire che ci sta un un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano».

 

IL RUOLO DELL’EX CARABINIERE GAMMUTO

Ed è in questo mondo e per conto di Mafia capitale che i calabresi Emilio Gammuto, Carlo Maria Guarany e Giovanni Lacopo hanno operato per lungo tempo indisturbati. I primi due sono stretti collaboratori di uno dei principali indagati, quel Salvatore Buzzi che da amministratore delle cooperative riconducibili al gruppo Eriches-29 Giugno, affidatarie di appalti da parte del comune di Roma, ha spalancato le porte all’organizzazione di Carminati. Gammuto, solo «in ragione dell’elevata soglia probatoria richiesta per la prova del fatto» non è stato ritenuto un partecipante a pieno titolo dell’organizzazione, ma «sul versante della corruzione attiva, la sua posizione è tra quelle più prossime all’operatività del sodalizio». Gammuto è anche un recidivo, la cui fedina penale dimostra «un desolante fallimento di tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento penitenziario intesi alla rieducazione e al reinserimento del condannato». Ex carabiniere, condannato a trent’anni per reati gravi quali tentato omicidio, lesioni e detenzione di armi e munizioni, commessi nel corso di un tentativo di rapina nel 1976, nato ad Acri ma cresciuto nella provincia romana, Gammuto ha prima beneficiato della liberazione anticipata, quindi della riabilitazione, ma nonostante la fedina penale tutt’altro che limpida, finisce a lavorare come principale collaboratore operativo di Buzzi, considerato dagli inquirenti massimo esponente della «burocrazia illecita che costituisce uno specifico ramo di Mafia capitale». Per i pm romani, non si tratta semplicemente di un gruppo di funzionari corrotti, ma di uno specifico settore dell’organizzazione composto da quel «capitale umano attraverso cui venivano disposte le operazioni illecite quali false fatturazioni, transito e consegna di flussi finanziari illegali, predisposizione di documentazione falsa per alterare i processi economici e quelli decisionali della pubblica amministrazione, documentazione dell’attività illecita, custodia della documentazione attestante tali attività».

 

LA BUROCRAZIA ILLECITA

Si tratta – si legge nelle carte – dell’insieme di persone «che operano nella branch volta alla pubblica amministrazione, protagonisti consapevoli della loro appartenenza a mafia capitale, intesa quale organizzazione di tipo mafioso che, tra le finalità perseguite, annovera la permeazione della pubblica amministrazione, al fine di condizionarne illecitamente i processi decisionali, con particolare riguardo all’allocazione di risorse». Privo di competenze specifiche, ma nonostante questo stretto collaboratore di Buzzi, Gammuto non si limita a fargli da autista, segretario e braccio destro, ma è a conoscenza sia di tutte le trattative e gli accordi del suo “capo”, sia dei segreti della branca burocratica dell’organizzazione, come quel libro nero che ne custodisce la contabilità alternativa e quel jammer con cui l’amministratore Buzzi sperava di dribblare le intercettazioni.

 

GUARANY, L’UFFICIALE DI COLLEGAMENTO CON IL COMUNE

Inserito a pieno titolo nella cosiddetta “burocrazia illecita” è invece l’altro calabrese d’origine, Carlo Maria Guarany, ufficialmente vice presidente del cda e consigliere della società 29 Giugno Coop Sociale Onlus, nonché consigliere dell’A.B.C. società Cooperativa sociale, in realtà «uomo di fiducia di Salvatore Buzzi, di cui eseguiva le direttive, occupandosi della gestione delle varie cooperative e prendendo contatti con pubblici funzionari deputati alle gare di appalto ovvero alla concessione di lavori pubblici e/o pagamenti degli stessi». Cooperative – dicono gli inquirenti – tutte riconducibili a Buzzi, ma che servivano per arricchire l’intero sodalizio, se è vero che lo stesso Carminati partecipava alle riunioni per stabilire le strategie mirate all’aggiudicazione di appalti e al condizionamento del Comune e delle sue controllate. Un business in cui Guarany aveva un ruolo di primo piano. Sarà lui – stando a quanto emerge dall’ordinanza – l’interlocutore privilegiato del direttore generale di Ama spa, quel Giovanni Fiscon fortemente sponsorizzato dalla “burocrazia illecita” di Mafia capitale per la nomina a dg e che all’organizzazione “regalerà” non a caso la gara per la raccolta del Multimateriale. Ma il cutrese Guarany, era anche l’uomo che per l’organizzazione si è occupato di sviluppare i contatti necessari per mantenere la presa sull’amministrazione comunale anche dopo il cambio di maggioranza politica.

 

ALLA CONQUISTA DELLA NUOVA AMMINISTRAZIONE

Il tramonto dell’era Alemanno, per Mafia capitale, è un momento delicato, in cui – per utilizzare le parole di Carminati – è necessario «mettersi la minigonna e di andare a battere». Ordine colorito che l’ex Nar impartisce a Buzzi, che sguinzaglia gli uomini che ha a libro paga, come Guarany. Sarà quest’ultimo infatti ad avvicinare Mattia Stella, capo della segreteria del sindaco Ignazio Marino, e per il cutrese personaggio da «valorizzare» e «legare» di più a loro. Un obiettivo raggiunto non solo attraverso un rapporto privilegiato, ma soprattutto con l’elargizione di somme di denaro. O, almeno, questo è quanto lascia intendere Buzzi quando afferma: «Al capo segreteria suo (di Marino, ndr), noi gli diamo 1000 euro al mese…al capo segreteria 1000 euro al mese». Passaggi di cui Guarany è pienamente consapevole perché stabiliti nel corso delle riunioni con Carminati a cui partecipa. Non a caso per i pm «il suo rapporto diretto con Buzzi e Carminati, il suo essere strutturale all’attività della branch che si occupa di pubblica amministrazione, nell
a sua specifica funzione di ricerca di costituzione e mantenimento del capitale istituzionale dell’associazione, il suo essere diretto esecutore delle volontà di Buzzi e assolutamente consapevole dei reati che venivano commessi, di alcuni dei quali era coautore, fanno di Guarany un intraneo all’organizzazione».

 

DOCUMENTI COME ARMI

Per i magistrati, Guarany e altri funzionari pubblici «in luogo di armi, usano fatture false, contratti inesistenti, intestazioni fittizie, documenti falsificati con cui alterano gare pubbliche; che, invece di presentarsi presso gli esercizi commerciali delle strade, si presentano ai palazzi pubblici puntando al loro controllo; che tuttavia, quando operano con siffatte modalità, hanno piena consapevolezza di essere espressione di un’organizzazione complessa, che ha in dote anche la forza d’intimidazione che deriva dall’essere gruppo organizzato».

 

IL BRACCIO ARMATO DELL’ORGANIZZAZIONE

Ma Mafia capitale non è solo inquinamento della pubblica amministrazione. Al contrario, la sua capacità di penetrazione all’interno delle istituzioni si deve anche alla forza di intimidazione – spiegano i magistrati – derivante dalle “tradizionali” attività di usura, estorsione, recupero crediti. Tutte attività di cui Roberto Lacopo – imprenditore che gestisce per conto dell’organizzazzione il distributore di carburanti in corso Francia che sarebbe base logistica del sodalizio – non esita a farsi carico. Un ruolo universalmente riconosciuto se è vero che anche suo padre – Giovanni Lacopo, originario di Gerace – non esita a rivolgersi a lui per recuperare un credito di 180mila euro concesso all’imprenditore Giovanni Manattiani. Per mesi quest’ultimo è stato minacciato, seguito, quasi perseguitato dagli uomini che, su richiesta del padre, Roberto Lacopo gli ha messo alle calcagna. Per “convincerlo” non esiteranno ad ordinare anche un violento pestaggio in pieno centro cittadino, che lo stesso Mattiani non esita a ricondurre a Lacopo e all’organizzazione di cui fa parte. Intercettato dalle cimici del Ros, l’imprenditore si lamenta: «M’hanno massacrato ieri sera (…) mi hanno picchiato in via Cola (…) avevi detto che non mi toccavano (…) tu hai detto che non mi toccavano». Rimostranze cui il più giovane dei Lacopo, nonostante professi ufficialmente estraneità, risponderà sostanzialmente con un’alzata di spalle, affermando: «Quando uno picchia qualcuno è perché se vede che ha fatto quarcosa sennò uno no ‘o picchiano». Un incubo che Mattiani, obbligato anche a pagare le «giornate di sorveglianza» all’uomo che Lacopo gli ha messo alle costole, durerà fino a quando non riuscirà a saldare il debito. Anche il tentativo di dribblare le minacce dell’organizzazione chiedendo aiuto e protezione a noti personaggi della malavita romana si scontrerà con l’autorità criminale dell’ex terrorista nero. Al solo sentire il suo nome, tutti faranno un passo indietro.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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