A seguito delle recenti elezioni regionali sono in via di insediamento i nuovi rispettivi governi. Gli stessi dovranno fare i conti con una sanità che va, comunque e ovunque, riorganizzata alla luce dei tagli in lista d’attesa, della verosimile insostenibilità alle attuali condizioni gestorie e della ineludibile sottoposizione della medesima ad una imponente revisione della spesa (Cottarelli dixit). Un onere che la politica dovrà assumersi, più difficile da sostenere specie nelle regioni ove la qualità assistenziale lascia a desiderare.
Invero, con una sanità alla ricerca di una rivisitazione normativa (la vera spending review passa per le riforme strutturali!), ma soprattutto bisognosa di ritrovare una sostenibilità perduta da decenni, il compito specifico dei nuovi governatori sarà gravoso, ancorché differenziato. Non solo di quelli eletti nella ultima tornata autunnale e in quella appena precedente ma anche di quelli prossimi al voto.
Il problema è generale e, in quanto tale, la soluzione spetterà al legislatore nazionale e, conseguentemente, alla disciplina di dettaglio regionale. Non solo. La sanità delle singole regioni avrà bisogno di immediati interventi correttivi, in particolare quelle afflitte da piani di rientro e/o condizionata dai commissariamenti, che non hanno prodotto un granché, nonostante la sopportazione del maggior costo, diretto e fiscale, non affatto retribuito in termini di miglioramento delle performance. Su tutto occorrerà garantire i Lea in regime di assoluta appropriatezza. Un modus garantito da oltre 13 anni in via (molto) teorica a discapito della pratica, tanto da fare constatare che nel nostro Paese a godere di una buona sanità sono solo i ceti abbienti (Cergas docet). Quelli in grado di pagare.
Necessiterà pertanto assicurare un impegno volto a spendere bene le risorse e fare i necessari investimenti utili a migliorare ciò che c’è e a realizzare ciò che non è mai esistito. Tutto questo non può prescindere dall’istaurare la migliore concorrenza tra l’erogazione garantita dal pubblico e quella garantita dal privato, funzionale ad assicurare il migliore prodotto assistenziale in un regime di sano agonismo.
Per conseguire un tale risultato vanno:
rivendicati dalle regioni gli stessi adempimenti nei confronti degli erogatori, quindi niente sconti al pubblico in materia di accreditamento (che sarebbe da rivedere al rialzo);
riconosciuti gli stessi diritti, tra i quali quello di prevedere ovunque la retribuzione dell’assistenza ospedaliera sulla base della produttività reale. Ciò al fine di concretizzare quella sana concorrenza amministrata sancita dal legislatore per conseguire il buon andamento della pubblica amministrazione.
Dunque, rispetto delle regole ed equità costituiscono la ricetta per garantire l’uniformità dell’assistenza e la perfettibilità del sistema. A tal fine occorrerà vigilare, e non poco. A che le regioni surrogate dal Governo nell’esercizio caratteristico si comportino bene, prevedendo una exit strategy dal commissariamento che produca nel futuro meglio di quanto prodotto in via straordinaria (un compito non affatto diffcile!). A che non si favoriscano, nei momenti di difficoltà, condizioni convenienti per scalate sistemiche, spesso funzionali a realizzare accentramenti di proprietà fini a se stessi.
Siffatte situazioni potrebbero determinare pericoli irreversibili nel breve e nel mediolungo termine. Nell’immediatezza quella di determinare sensibili perdite occupazionali, ben celate dalle solite ristrutturazioni utili alla permanenza dell’azienda sul mercato, altrimenti impossibile. Nel mediolungo quella di registrare un’implosione dell’iniziativa più in generale, causata dalla naturale pressione proveniente dal sistema insopportabile per la imprenditoria improvvisata. Il tutto all’insegna della storia ove, nella sanità, hanno sempre avuto le gambe corte quei gruppi “non professionali” pronti a raccogliere le ceneri degli erogatori in crisi allo scopo di concentrare il tutto con la sola benedizione della politica.
*articolo tratto da “Il Sole 24 Ore-Sanità”
x
x