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La “Santa” lombarda

Grande risalto sulla stampa e, ancora di più, in televisione ha avuto l’esecuzione delle misure cautelari disposte dal gip del Tribunale di Milano nell’operazione della Dda denominata “Insubria”, c…

Pubblicato il: 04/12/2014 – 10:51

Grande risalto sulla stampa e, ancora di più, in televisione ha avuto l’esecuzione delle misure cautelari disposte dal gip del Tribunale di Milano nell’operazione della Dda denominata “Insubria”, contro esponenti della ‘ndrangheta, stanziati nella provincia di Como. L’attenzione degli osservatori si è concentrata in particolare sulla video-registrazione del giuramento di affiliazione alla “Santa”, con le sue formule esoteriche, i suoi richiami a personaggi ottocenteschi quali Mazzini, Garibaldi e Lamarmora, il tono tragico e violento di quel formulario. L’impressione che se ne trae, o meglio che si è voluto dare all’operazione, è che si è trattato – sul piano investigativo – di un’assoluta novità, che avrebbe consentito aspetti ancora oscuri e inesplorati di questa misteriosa organizzazione che risponde al nome di ‘ndrangheta.
Alcuni commentatori hanno poi messo in evidenza che “Insubria” era un’indagine di tipo “classico”, come le faceva Falcone, senza ricorso a collaboratori di giustizia, e dunque assai più affidabile di molte altre del passato e forse anche del presente.
Si impongono alcune considerazioni.
La prima riguarda il carattere di assoluta novità dell’inchiesta “Insubria”. Nella parte relativa al disvelamento del giuramento di affiliazione alla “Santa” è nuova la tecnica di video-registrazione in diretta del giuramento, è nuova la collocazione dell’affiliazione nel cuore della ricca Lombardia, ma sulla “Santa”, sulle formule di giuramento, sulla sua storia, di nuovo non c’è proprio nulla. Già nel giugno del 1987, venne ritrovato a Pellaro, a casa del vecchio capo del “locale”, Giuseppe Chilà, latitante da 20 anni, il primo codice sui riti della “Santa”. Non solo. Molti collaboratori di giustizia, tra i quali Lauro, Barreca, Fonti, Costa – tanto per citarne alcuni – riferirono con ampiezza di particolari la data in cui venne costituita la “Santa”, intorno alla metà degli anni 70, la funzione della nuova struttura organizzativa, la soluzione di continuità che essa rappresentava rispetto alla vecchia “società di sgarro”, che infatti veniva solennemente rinnegata la straordinaria rilevanza che essa ebbe nel rendere possibili accordi, precedentemente impensabili, con poteri e ambienti esterni, tra i quali – in primo luogo – logge massoniche, disposte a includere al loro interno esponenti di spicco dei clan siciliani e calabresi. Nessuna sorpresa, dunque, essendo ben noto da tempo, l’appartenenza alla massoneria, di noti capi mafiosi, in Sicilia come in Calabria. Peraltro, le dichiarazioni rese da Leonardo Messina, davanti alla commissione Antimafia nel dicembre del 1992, richiamate nella richiesta di archiviazione dei pm nel processo “Sistemi criminali”, hanno confermato l’ipotesi investigativa posta alla base della contemporanea operazione “Olimpia” della Dda di Reggio. Le dichiarazioni dei collaboratori che ho prima ricordato consentirono all’epoca ai magistrati reggini di conoscere l’esistenza della “Santa” e di comprenderne il ruolo assai prima che le immagini trasmesse nei telegiornali nazionali informassero l’opinione pubblica dell’esistenza di tali moduli associativi e dei riti di affiliazione che li caratterizzano. Grande anche lo stupore nel sentire pronunciare i nomi di Garibaldi, Mazzini e Lamarmora, apparentemente incoerenti all’interno di un giuramento mafioso, ma perfettamente funzionali ove si consideri che si tratta di personaggi dell’Ottocento di sicura appartenenza massonica e che la “Santa” è disegnata sul modello di selezione e di segretezza di diretta derivazione massonica. Il richiamo al metodo Falcone quale argomento polemico contro l’utilizzazione dei collaboratori di giustizia, assunta come fonte di inattendibilità dei risultati investigativi in tal modo ottenuti, è fondato su presupposti falsi. Falcone ha fatto da apripista all’utilizzazione dei collaboratori di giustizia. Buscetta, Mannoia, Contorno, sono i nomi più noti, ma l’elenco potrebbe proseguire. È necessario un uso intelligente e accorto, e la ricerca dei riscontri deve essere accurata. Nessuno deve però fare dell’ironia sull’apporto dei collaboratori, che hanno consentito di individuare e perseguire gli autori di centinaia di omicidi, anche in danno di esponenti istituzionali, della strage di Capaci.
E se per via D’Amelio vi è stato un clamoroso depistaggio, ciò fu dovuto all’attività di inquinamento operata da alcuni inquirenti e non certo ai collaboratori. Quello che avrebbe dovuto attirare l’attenzione dei commentatori doveva essere, invece, la capacità e la necessità di riproduzione di tali rituali all’interno della Lombardia, come se l’adesione alla “Santa” rispondesse all’esigenza, attuale, di stabilire rapporti e appartenenze con logge massoniche di quella regione al fine di consolidare in tal modo patti affaristici e imprenditoriali, e perché no politici. Da mera curiosità antropologica e sociologica, dunque, gli esiti dell’indagine “Insubria” sollecitano sviluppi investigativi che vanno nettamente al di là dall’avere individuato e neutralizzato un aggregato mafioso operante nel Comasco. Essi dovranno individuare le modalità e le complicità che hanno consentito a personaggi rozzi e incolti, come tutti hanno potuto constatare, ma che hanno egualmente occupato in profondità l’economia della regione più ricca d’Italia e tra le più ricche dell’intera d’Europa, imponendo persino valori recessivi che non avrebbero dovuto e potuto trovare accoglienza e persino adesione in quel contesto. Stupisce infine il silenzio assordante del ceto politico e degli esponenti di governo.
Il programma non prevede al momento un più incisivo e innovativo intervento per adeguare l’attività di contrasto alle mafie alle attuali emergenze investigative. Non è ancora il momento.

 

*magistrato

 

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