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Quei legami tra 'ndrangheta e mafia romana

Dicembre 2010: da due anni Giuseppe Pignatone è al vertice della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Già gli è diventata chiara la proiezione nazionale e internazionale della ‘ndrang…

Pubblicato il: 06/12/2014 – 14:14
Quei legami tra 'ndrangheta e mafia romana

Dicembre 2010: da due anni Giuseppe Pignatone è al vertice della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Già gli è diventata chiara la proiezione nazionale e internazionale della ‘ndrangheta, permangono, però, grandi difficoltà quando si tratta di farlo capire al contesto istituzionale. Eppure le indagini sono lì a dimostrarlo: le cosche sono protagoniste sullo scenario criminale di Milano e di Roma, oltre che di Torino e di Genova. Matura così l’idea di operare direttamente anche in indagini che fino a quel momento si era preferito mandare ad altri uffici per competenza territoriale.
Il primo “incontro” con le sinergie criminali della ‘ndrangheta su Roma, Pignatone lo realizza proprio a dicembre del 2010 quando, insieme al procuratore aggiunto Michele Prestipino, firma sette provvedimenti di cattura che vengono eseguiti dalla squadra mobile di Reggio Calabria, del commissariato di Gioia Tauro e dello Sco di Roma. Riguardano sette presunti esponenti del clan Piromalli di Gioia Tauro in trasferta a Roma per “convincere” due facoltosi imprenditori a “mettersi a disposizione”. Si trattava di Girolamo Piromalli, 34 anni, Santo La Rosa, 47 anni, Cosimo Romagnosi, 31, Vincenzo Plateroti, 45, il figlio Salvatore, 24 anni, Domenico Gulluni, 27, e Vincenzo Bonavota, 44 anni. Avrebbero compiuto in concorso tra loro «atti idonei diretti in modo equivoco a costringere due imprenditori, con implicite e reiterate minacce, consistite, tra l’altro, nell’avvalersi delle forza fisica derivante dalla vicinanza alla cosca Piromalli di alcuni di loro, a versare una somma di danaro corrispondente a trentamila euro e, quindi, procurarsi un ingiusto profitto con pari danno per le persone offese». Le immagini delle telecamere piazzate dalla polizia avevano consentito di «immortalare gli arrestati mentre si recavano presso la sede delle imprese».
Quattro anni più tardi Pignatone siede sulla poltrona di capo della Procura di Roma, gli tornano utili le esperienze maturate a Reggio e così riapre vecchi fascicoli sulla inarrestabile ascesa della ‘ndrangheta negli affari di Roma Capitale, partendo proprio dal sodalizio storico che lega gli eredi della “Banda della Magliana”, considerata la più potente organizzazione criminale che abbia mai operato a Roma, alle cosche egemoni della ‘ndrangheta calabrese. Cominciando proprio da due clan storici: quelli dei Piromalli di Gioia Tauro e dei De Stefano di Reggio Calabria. Il collante, tra questi clan e la banda della Magliana, era proprio nei comuni rapporti con l’estrema destra capitolina. Inizialmente il rapporto era rimasto ancorato al piano criminale: sequestri di persona, narcotraffico, qualche “servizietto” in favore dei servizi segreti deviati. Lo manteneva Gianfranco Urbani, amico personale di boss del calibro di Nitto Santapaola e Paolo De Stefano.
A irrobustirlo ci pensò, successivamente, un altro capo storico della “Magliana”, Franco Giuseppucci, il più politicizzato della banda: conservava in casa tutti i dischi con i discorsi di Mussolini e diversi gagliardetti e simboli inneggianti il regime fascista. I primi legami con i gruppi neofascisti li ebbero però attraverso il professor Aldo Semerari, celebre criminologo leader del gruppo “Costruiamo l’azione”, che durante l’estate del 1978 organizzò diversi incontri politici nella sua villa di Poggio Mirteto a cui parteciparono pezzi della Banda della Magliana e uomini della ‘ndrangheta appositamente saliti dalla Calabria.
Il contatto con il professor Semerari, del resto, era estremamente funzionale in quanto, data la sua levatura sul piano delle perizie mediche psichiatriche effettuate per conto dei tribunali, poteva tornare assai utile agli elementi per ottenere falsi certificati di infermità mentale, onde scongiurare così la detenzione. L’eliminazione di Semerari (venne ucciso su ordine di Raffaele Cutolo) e la scomparsa di Giuseppucci e di Urbani, non interruppero i rapporti tra eversione nera e ‘ndrangheta, che proseguirono attraverso l’incontro con i Nar (Nuclei armati rivoluzionari) di Massimo Carminati. Arriviamo così all’inchiesta “Operazione Cupolone” di questi giorni che vede al centro proprio la figura di Carminati.
Massimo Carminati (“il Nero” del film e della serie tv di Romanzo criminale) frequentava lo stesso bar di Giuseppucci e Abbatino divenendone il pupillo. Loro tramite entra nella Banda della Magliana e oggi se ne considera l’unico erede, quanto gli basta per definirisi, nelle intercettazioni del Ros: «Il re di Roma». Si tenga pure il titolo ma è solo grazie alla ‘ndrangheta che può riferirsi ai politici dicendo: «Cambino pure, tanto sulla strada comandiamo sempre noi».

 

pa. po.

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