Il colpo di scena arriva alla fine. Ancora una volta, il pm Giuseppe Lombardo ha congedato difese e tribunale con un annuncio “vorrei comunicare che da domani mattina sarà disponibile presso la mia segreteria nuova attività integrativa riguardante la Cogem e i lavori svolti nella città di Reggio Calabria”. Il tenue brusio, che accompagna la chiusura dell’udienza, si attenua, sparisce. Claudio Scajola, imputato insieme alla segretaria dei Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, con l’accusa di aver aiutato l’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, a sottrarsi ad una condanna definitiva per mafia, alza la testa di scatto. In aula cala il gelo.
INCUBO COGEM, NUOVI ATTI
Gli approfondimenti sulla Cogem, controllata al 51% dai coniugi Matacena tramite una finanziaria e amministrata dallaa Fiordelisi, rischiano di sgretolare le linee difensive fino ad ora sostenute e riaprire la strada alla contestazione di aggravante mafiosa cassata dal gip e su cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di non potersi pronunciare perché “fuori tempo massimo”. Nelle scorse settimane infatti, gli uomini della Dia hanno preteso da prefettura e amministrazione comunale le carte relative agli innumerevoli appalti – dal Tapis roulant al palazzo dello Sport, dal lungomare alla ristrutturazione di piazza Orange, dai centoventi alloggi popolari del quartiere di San Brunello alla pista dell’aeroporto – che la Cogem ha collezionato nel corso degli ultimi quattordici anni. Nel mirino degli investigatori ci sono subappalti, noli a caldo e a freddo, forniture, e tutti i rapporti che la società ha sviluppato sul territorio per verificare se ed eventualmente con che modalità sia entrata in rotta di collisione con ditte legate ai clan reggini. Tutti approfondimenti che rischiano di complicare la posizione degli imputati, inquietare quei soggetti che con la Cogem sono entrati in Ati– la ditta dei Matacena risulta socia al 23% anche della società “Edilizia ospedaliera Morelli” e del 34% della “Giudecca srl”, insieme alla “S.Aversa sas” di Carmine Aversa & c. per la costruzione del tapis roulant – ma soprattutto potrebbero provocare ben più di un imbarazzo in prefettura. Nonostante le traversie giudiziarie di Amedeo Matacena, la Cogem risultava infatti provvista di regolare certificazione antimafia. Dubbi, ansie e angosce destinate a durare quanto meno fino a domani, quando gli atti verranno messi a disposizione delle difese.
LA GENESI DELL’INDAGINE
Nel frattempo, oggi è toccato al vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, in forza alla Dia di Reggio, Leonardo Papaleo, iniziare a ripercorrere la genesi dell’indagine che ha portato al procedimento che con rito ordinario vede imputati Scajola e la Fiordelisi, mentre viene affrontato in abbreviato dall’ex parlamentare di Forza Italia, oggi latitante a Dubai, Amedeo Matacena, dalla moglie Chiara Rizzo, dallo storico braccio destro del politico- armatore, Martino Politi e alla segretaria di Scajola, Roberta Sacco. Un’inchiesta lunga, complessa, iniziata monitorando l’infinita rete di contatti dell’ex consigliere comunale del Pdl, Dominique Suraci – oggi imputato per reati di mafia in diversi procedimenti – e che ha avuto una prima svolta quando gli investigatori si sono concentrati sul sedicente avvocato Bruno Mafrici. Natio di Condofuri, senza aver mai conseguito la laurea, “Brunello” è comunque riuscito ad accaparrarsi una poltrona da consulente al ministero della Semplificazione di Calderoli, oltre a un ruolo di punta alla Mgim, lo studio commerciale dell’ex tesoriere dei Nar Lino Guaglianone, divenuto crocevia delle transazioni finanziarie e non, delle ndrine di Reggio Calabria. Una questione oggi ancora al centro del filone madre dell’indagine Breakfast, l’inchiesta che ha messo a soqquadro la Lega Nord, portando alla luce le spericolate – e in odor di ‘ndrangheta – operazioni finanziarie del Carroccio.
LA RETE DI MAFRICI
Un’indagine che ha in Mafrici uno dei principali indagati, non a caso per lungo tempo monitorato ed ascoltato dai segugi della Dia reggina. E proprio seguendo il sedicente avvocato, gli investigatori sono incappati in diversi nomi noti dell’imprenditoria reggina. Mafrici non solo era in contatto con Dominique Suraci, ma “curava” anche i progetti di soggetti come Michelangelo Tibaldi, coinvolto in una serie di affari fra Reggio Calabria e Milano per i magistrati ancora tutti da approfondire e per questo indagato nel filone madre dell’inchiesta Breakfast per violazione della legge Anselmi. Ma l’ex consulente di Calderoli era in contatto anche con Amedeo Matacena. L’ex parlamentare lo contatta – riassume Papaleo – perché ha bisogno di una mano per sistemare debiti e carte relativi alla sua barca, il “Cigno nero”. Mafrici è l’uomo che gli può assicurare – o almeno così promette – finanziamenti da banche “amiche”. Una transazione su cui gli inquirenti all’epoca cercano subito di capire di più, per questo chiedono e ottengono dal gip l’autorizzazione a “mettere sotto” il noto ex parlamentare di Forza Italia e la moglie Chiara Rizzo, che ha in uso le utenze a lui intestate. Ma quello che si spalanca di fronte ai loro è uno scenario forse inaspettato, per certi versi inquietante, ma senza dubbio devastante.
IL NETWORK SCAJOLA
Attorno a Matacena si muove un sottobosco di sopravvissuti della Prima Repubblica, tracimati nella Seconda, vecchi e nuovi faccendieri, figli e nipoti di nomi noti della politica e dell’economia, tutti – a quanto pare – uniti e interessati a un unico scopo: salvare Matacena dall’esecuzione della condanna a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa che di lì a poco sarebbe passata in giudicato. Monitorando le utenze francesi dell’ex parlamentare di Forza Italia, investigatori ed inquirenti inizieranno a disegnare la rete che dai coniugi arriva a coinvolgere l’ex ministro Scajola, costantemente aggiornato dalla moglie di Matacena sulla latitanza dell’ex politico di Forza Italia, segretarie e collaboratori dei due politici, ma anche un mondo «di personaggi di indubbio spessore» – li aveva definiti all’epoca il gip Olga Tarzia – che si muove per aiutare Matacena. Sarà ad esempio i Cecilia Fanfani, figlia dell’ex primo ministro Amintore – riassume il vicecommissario Papaleo – a consigliare alla Rizzo di far transitare il marito da Dubai, dove avrebbe trovato alcuni legali – come l’avvocato Ottavia Molinari – che lo avrebbero assistito nelle operazioni di rinnovo del visto, necessario al prolungamento della sua permanenza alle Seychelles, mentre è con Carlo Biondi, figlio del più noto ex guardasigilli Alfredo – oggi avvocato della Rizzo – che viene concordata infine la scelta dei difensori. Un network composito che il vicecommissario Papaleo non ha che iniziato a tratteggiare.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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