CATANZARO Colore del cielo blu, venticello sferzante tra i vicoli del centro storico di Catanzaro. Mario Oliverio (more solito) è in ritardo. Dentro Palazzo Alemanni solo cronisti. E qualche dipendente. Antonella Stasi attende al secondo piano. Accanto a lei gli ultimi fedelissimi di Peppe Scopelliti. Le loro facce raccontano più di mille parole. Si è chiusa un’epoca. Lo si nota anche dai particolari. Nell’aprile del 2010 a osannare il leader del centrodestra per la prima nella sede della giunta regionale c’era una folla oceanica. Questa volta ad attendere Oliverio ci sono pochissime persone. «Ho voluto una cerimonia sobria, la Calabria vive una condizione drammatica», dirà più tardi il nuovo governatore. E quando il portone si spalanca e a dargli il benvenuto sono le nipotine Giorgia (10 anni) e Sofia (6 anni) – entrambe figlie di Nella Oliverio –, «’u lupu» di San Giovanni in Fiore si lascia andare a un pianto liberatorio. Poco distante c’è la piccolissima Ester, due mesi ancora da compiere, figlia di Mara, «l’altra gioia della famiglia», la definisce nonno Mario. Il resto della famiglia – la moglie e gli altri suoi due figli, Laura e Thomas – non c’è. È a Roma, dove gli Oliverio possiedono un’altra dimora.
In ogni caso, ciò che altrove non farebbe notizia, in Calabria diventa fatto rilevante. E nella «rivoluzione della normalità» c’è posto anche per questo simpatico quadretto familiare. I segni di una campagna elettorale estenuante ci sono tutti e Oliverio non fa nulla per nasconderli. La testimonianza naturale di tale stato d’animo sono le due volte in cui davanti ai giornalisti è costretto a trovare rifugio in un bicchiere d’acqua per prendere fiato.
Prima, Oliverio si intrattiene per qualche minuto con Antonella Stasi in quelli che furono gli uffici di Scopelliti. Dalla presidente facente funzioni riceve la «disponibilità» a collaborare in questa primissima fase di transizione. Ma è davanti a taccuini e microfoni che «’u lupu» non le manda a dire: «Sia chiaro che io non ho sponsor, né padrini. Le scelte che farò saranno mie e basta».
In sala si vedono soltanto tre dei prossimi consiglieri regionali: Vincenzo Ciconte, Arturo Bova e Mauro D’Acri. All’ultimo posto siede Piero Amato, che Oliverio saluta con moderato afflato. Il nuovo presidente attacca a testa bassa sui dirigenti: «Sarebbe saggio se loro rimettessero nelle mani di questa amministrazione il mandato. Non si tratta di un atto coercitivo ma volontario, sia chiaro. Così come deve essere chiaro a tutti che con Oliverio non ci sarà spazio per amici e affidatari ma la meritocrazia sarà la stella polare del nostro agire». In alcuni passaggi parla di sé in terza persona. Come quando esorta i giornalisti a «misurarlo sul terreno della trasparenza e della rottura con certi retaggi».
Detta da un uomo che ha attraversato un bel po’ di stagioni politiche e messo piede in tutte le istituzioni qualche dubbio sorge. Oliverio sa di non avere gioco facile su questo terreno e per questo mette le mani avanti, preannunciando che il suo mandato non avrà un’appendice: «Governerò cinque anni e poi andrò a casa. Non ho assilli e ambizioni particolari». È qui che il paragone con il recente passato diventa obbligato: Scopelliti considerava l’esperienza alla Regione un trampolino di lancio verso altri lidi, Oliverio considera Palazzo Alemanni la tappa finale di un lungo percorso.
Paradossalmente questo potrebbe essere il suo maggiore punto di forza. Ciò su cui Oliverio non intende accettare interferenze riguarda la scelta della squadra. «Sì, perché la stagione dell’uomo solo al comando è finita. Sono io il presidente, certo. E intendo avere le mani libere nelle scelte. Ma intendo pure costruire una squadra che possa aiutarmi in un compito arduo come è quello di governare la Calabria».
E quando alla fine prova a scherzarci su – rivelando che a un suo sostenitore che gli chiedeva se si sentisse emozionato ha risposto di essere «sereno» – ecco che ancora una volta il magone lo assale. Ed è quando Giorgia, da qualche mese arrivata in prima media, gli si avvicina per abbracciarlo. Oliverio scoppia di nuovo in lacrime sotto lo sguardo compiaciuto di Mariuccia De Vincenti, depositaria di tanti retroscena. Giovanni Varca (il suo storico autista) e Franco Iacucci (il Richelieu di Mario) si danno il cinque. Luigi Guglielmelli abbraccia uno stuolo di giovani militanti del Pd. Vuoi vedere che bisognava aspettare «’u lupu» di San Giovanni per respirare un po’ di «normalità» a Palazzo Alemanni?
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it
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