REGGIO CALABRIA Associazione mafiosa, favoreggiamento e procurata inosservanza pena tutti aggravati dalle modalità mafiose: sono questi alcuni dei reati contestati ai venticinque soggetti (di cui cinque donne), per i pm tutti affiliati al clan Tegano, fermati oggi dalla Squadra mobile per ordine della Dda di Reggio Calabria. A partire dalla ricostruzione della rete dei fiancheggiatori di Giovanni Tegano, anziano boss arrestato nell’aprile 2010 dopo 17 anni di latitanza, l’operazione “Il Padrino”, coordinata dal procuratore capo Federico Cafiero De Raho e dal pm Giuseppe Lombardo, ha disegnato con precisione l’attuale organigramma del clan, come la rete delle attività illecite riconducibili agli arcoti. Interessi e affari che in passato sono finite al centro di diverse operazioni come “Archi Astrea”, l’inchiesta che ha provato la presenza dei Tegano all’interno della società mista Multiservizi, per quwsto motivo in seguito sciolta per mafia.
Considerato uno degli elementi di vertice della ‘ndrangheta reggina, Giovanni Tegano nel 2010 era stato sorpreso dagli agenti della squadra mobile e dello Sco in una villetta in località Perretti di Reggio Calabria ed aveva invano cercato di nascondersi in una stanza buia per sfuggire all’arresto. Il suo trasferimento in carcere era stato salutato dagli applausi di amici e parenti, accompagnati dalle grida «uomo di pace». Il boss deve scontare una condanna all’ergastolo ed è ritenuto uno dei protagonisti della guerra di mafia di Reggio Calabria che, tra il 1985 ed il 1991, provocò oltre seicento morti.
Tra le 25 persone sottoposte a fermo dalla polizia stamani con l’accusa di fare parte della cosca Tegano di Reggio Calabria c’è anche un primario ospedaliero, Francesco Pellicanò, biologo responsabile del reparto analisi a Polistena. Per lui l’accusa è di associazione mafiosa. Tra i fermati ci sono anche i due generi del boss Giovanni Tegano, Edmondo Branca e Antonio Lavilla, che, secondo gli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria che hanno condotto le indagini, avevano assunto il ruolo di reggenti la cosca dopo l’arresto del capo e le operazioni delle forze dell’ordine condotte contro la famiglia.
«C’era un serio pericolo di fuga per questo si è deciso di procedere con i fermi». È quanto si lascia scappare il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero De Raho a commento dell’operazione “Il Padrino” che ha portato al fermo di 25 affiliati della cosca Tegano, fra cui i generi del boss Antonio La Villa e Edmondo Branca. «Toccherà al gip dare una valutazione compiuta del quadro probatorio ma le accuse ipotizzate sono associazione mafiosa, concorso esterno, procurata inosservanza di pena e favoreggiamento. Non ci sono politici coinvolti ma siamo stati in grado di ricostruire la rete che ha permesso la lunga latitanza del boss Tegano».
«Gli indagati hanno dato prova di conoscere anticipatamente – ha aggiunto De Raho – taluni risvolti di indagine, e questo conferma quanto pericolosa sia a tutt’oggi la capacità di infiltrazione e di corruzione della ‘ndrangheta, della presenza di suoi stabili punti di riferimento anche in settori sensibilissimi delle istituzioni».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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