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Non conta vincere

È comprensibile che Mario Oliverio e i maggiorenti calabresi del Pd abbiano esultato dopo la vittoria: hanno vinto le elezioni ed è giusto che abbiano festeggiato. Ma su quei sorrisi, nonostante le…

Pubblicato il: 11/12/2014 – 10:35

È comprensibile che Mario Oliverio e i maggiorenti calabresi del Pd abbiano esultato dopo la vittoria: hanno vinto le elezioni ed è giusto che abbiano festeggiato. Ma su quei sorrisi, nonostante le responsabilità siano di altri, incombe come un macigno l’astensionismo; quel 55,2% dei calabresi che non si sono recati alle urne, più le schede nulle, sono il segnale tangibile del disagio sociale non più contenibile della nostra regione; sono la risposta degli elettori “dissidenti” verso un sistema che ha privilegiato se stesso e pochi intimi, senza spendersi per arginare la valanga della crisi che si era abbattuta sulla Calabria mietendo ovunque vittime.
Quella maggioranza di elettori che ha voltato le spalle ai partiti disertando i seggi elettorali lo ha fatto perché si è sentita tradita nelle aspettative, perché ha ritenuto di dare un segnale forte al sistema affinché in Calabria si cambi; perché ha inteso sottolineare l’urgenza di una metamorfosi che ponga in vetta alla lista l’uomo e il territorio; una politica che lavori per il bene sociale, evitando esempi di malcostume sempre e comunque condannabili, ma impossibili da perdonare quando si perde il posto di lavoro, quando la precarietà dilaga, quando i poveri aumentano e non si riesce a intravedere un futuro per sé e per la propria famiglia.
Quella astensione suona anche come un avvertimento per Oliverio e per il prossimo governo regionale; auspica l’adozione di nuove politiche per questa terra; si chiede una Calabria unita senza più favoritismi capaci solo di alimentare rancore, che annullano e comunque non aiutano la crescita e lo sviluppo del territorio; si chiede che non sia più l’accento di una sola parte di Calabria quello parlato prevalentemente negli uffici regionali, ma che si tenga conto parimenti delle altre realtà.
Questo astensionismo deve essere interpretato come un messaggio chiaro per chi governerà considerato che, per la prima volta, anche la sinistra ha scelto la via dell’astensione. E, allora, forse è il caso di interrogarsi se non sia il caso di correggere l’agenda evidentemente non più avvertita come elemento al servizio della popolazione amministrata. C’è una domanda, probabilmente anche esterna ai partiti, che non può essere più elusa ed è costituita dalla pretesa di attivarsi concretamente per arginare la disoccupazione e la ricerca di nuove politiche per il lavoro. Il rischio è che, in caso contrario, si continuerà a perdere ulteriore fiducia nella politica e nella classe dirigente. Serpeggia il dubbio che i partiti stiano diventando sempre più terminali di sistemi di potere distanti dai bisogni della popolazione e che gli elettori servano solo per ottenere voti, ma che dopo si continua ad agire dimenticandosi dei problemi dei cittadini. Se non si dimostra con i fatti che si intende ribaltare questo sistema o, più semplicemente, che c’è una reale tendenza a voler cambiare registro ritenendo prioritario il dovere dell’esercizio politico su tutto il rischio è che si allarghi sempre di più il dissenso e che si infoltisca la schiera del non voto con grave pregiudizio per la tenuta stessa della democrazia.
Di tale pericolo bisogna che tengano seriamente conto le organizzazioni partitiche, ma anche gli elettori. I primi perché siano più responsabili nella scelta dei candidati proponendo persone capaci di amministrare il territorio nell’interesse principale della popolazione e non più, come spesso è accaduto, semplici portatori d’acqua incapaci talvolta persino di esprimersi correttamente, quando persino gravati di inchieste giudiziarie per un uso improprio dei fondi pubblici. Agli elettori, però, si chiede di scegliere soggetti qualitativamente adeguati e di adempiere per intero al dovere di votare candidati che abbiano competenze per gestire la cosa pubblica almeno con correttezza e onestà e non semplicemente per favorire la richiesta di un amico.
Sbaglia chi, come il presidente Renzi, ha sostenuto che l’astensionismo «è un problema secondario» perché ciò che conta è «vincere». Forse bisognerebbe capire che quando il non andare a votare raggiunge percentuali come quelle di domenica 23 novembre, se non lo si vuole considerare come uno sciopero generale degli elettori, almeno il perché sia accaduto bisognerebbe pur domandarselo e non liquidare la pratica semplicemente classificandolo come «elemento secondario».
Bisogna prendere atto che la Calabria è a un punto di non ritorno, ecco perché dal nuovo presidente della Regione i cittadini si aspettano verità e chiarezza, progettualità per la crescita e determinazione per una seria lotta alla criminalità organizzata. Si tratta dopotutto di condizioni di base su cui poggiare le fondamenta sulle quali costruire la nuova Calabria.
Se Mario Oliverio non è cambiato in tutti questi anni ed è rimasto l’amministratore e il politico che abbiamo avuto modo di conoscere, non dovrebbe avere difficoltà a farsi considerare dai calabresi come uno di loro, uno di cui ci si può fidare, che considera quanti hanno girato le spalle alla politica come una lezione verso coloro che probabilmente hanno ritenuto di poter disporre comunque dei calabresi a prescindere dai risultati conseguiti perché tanto, come sempre è accaduto, sarebbe stato sufficiente pronunciare le solite promesse illusorie. La Calabria questa volta non si è fatta incantare e ha reagito; e lo ha fatto tenendo la schiena dritta per dire che non ci sta più di fronte alla mancanza di serietà.

*giornalista

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