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Attentato a Di Matteo, si cerca il tritolo che proviene dalla Calabria

PALERMO Proverrebbe dalla Calabria il tritolo per l’attentato al pm Nino Di Matteo, uno dei magistrati del processo Stato-mafia. A sostenerlo è il boss Vito Galatolo, collaboratore di giustizia che…

Pubblicato il: 16/12/2014 – 10:13
Attentato a Di Matteo, si cerca il tritolo che proviene dalla Calabria

PALERMO Proverrebbe dalla Calabria il tritolo per l’attentato al pm Nino Di Matteo, uno dei magistrati del processo Stato-mafia. A sostenerlo è il boss Vito Galatolo, collaboratore di giustizia che da settimane sta parlando con i magistrati.
A procurare l’esplosivo, sarebbe stato Vincenzo Graziano, fermato stamane a Palermo dalla Guardia di finanza. Il tritolo, però, non è stato ancora ritrovato, e le Forze dell’Ordine stanno in queste ore setacciando palmo a palmo il condominio dove abita l’uomo. Il blitz della Guardia di finanza è scattato all’alba, mentre su Palermo si abbatteva un forte temporale. Le Fiamme gialle sono entrate in azione in una piccola stradina all’Acquasanta, vicolo Pipitone, nei pressi dei Cantieri navali. La segnalazione di Galatolo era precisa: a procurare il tritolo, sarebbe stato Graziano, ritenuto il reggente di Resuttana.
Secondo il boss, sarebbero cento i chili di tritolo provenienti dalla regione. Il fermo di Graziano, eseguito dalla Guardia di Finanza, è stato disposto dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Annamaria Picozzi, Dario Scaletta e Roberto Tartaglia.
In queste ore sono centinaia gli uomini del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, del comando provinciale e del Gico che stanno passando al setaccio, oltre al condominio, anche l’area circostante. Graziano era stato arrestato il 23 giugno scorso dalle Fiamme gialle nell’ambito dell’operazione “Apocalisse”, che aveva portato a oltre 90 misure cautelari, la maggior parte in carcere. Graziano era tornato in libertà a luglio, per decisione del tribunale del Riesame di Palermo.

 

LE DICHIARAZIONI DEL BOSS GALATOLO

«La presenza di cento chili di tritolo sul territorio palermitano rende ancora attuale, a mio avviso, il pericolo dell’attentato nei confronti del dottor Di Matteo». Lo afferma il pentito Vito Galatolo in dichiarazioni rese il 14 novembre scorso e inserite nel decreto di fermo del boss Vincenzo Graziano, emesso dalla Dda di Palermo. Galatolo ha parlato dei summit secondo lui effettuati nel 2012 per decidere l’attentato contro il sostituto procuratore Nino Di Matteo, uno dei pm del processo per la trattativa Stato-mafia: «Andai a una riunione in corso Tukory…Erano presenti oltre me Vincenzo Graziano, Antonino Lipari, Girolamo Biondino, Alessandro D’Ambrogio, Silvio Guerrera. Dopo una presentazione di rito rimanemmo solo io, Graziano, D’Ambrogio e Biondino… qua il Biondino, riprendendo la lettera che gli fu inviata da Matteo Messina Denaro, disse che bisognava fare un attentato al dottore Di Matteo perché, come già detto, stava andando oltre, e ciò non era possibile anche per rispetto ai vecchi capi che erano detenuti».

«In occasione della stessa riunione nei pressi di corso Tukory – continua il pentito – decidemmo di dare una risposta affermativa a Messina Denaro e decidemmo anche, vista l’impossibilità di quest’ultimo ad approntare il denaro necessario, di esporci economicamente per la preparazione e dell’attentato. In particolare io mi impegnai con 360mila euro mentre le famiglie di Palermo centro e San Lorenzo, si impegnarono per 70mila euro. L’esplosivo sarebbe stato acquistato in Calabria da uomini che avevano della cave nella loro disponibilità, e trasferito a Palermo. Dopo seppi che Biondino definì l’acquisto dalla Calabria di 200 chili di tritolo e, una volta arrivato a Palermo dopo circa due mesi dopo la riunione, fu affidato a Vincenzo Graziano. L’esplosivo, che io vidi personalmente in occasione di una mia presenza a Palermo per dei processi – sostiene Galatolo – era conservato in dei locali all’Arenella nella disponibilità di Vincenzo Graziano, ed era contenuto in un fusto di lamiera e in un grande contenitore di plastica dura. Sopra questi bidoni vi era uno scatolo di cartone con all’interno un dispositivo in metallo della grandezza poco più piccola di un panetto. All’interno era composto da tanti panetti di colore marrone avvolti da pezze di tessuto».

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