Ultimo aggiornamento alle 15:33
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

Xenopolis, condannati i cugini Alvaro e l'ex sindaco di San Procopio

REGGIO CALABRIA Sono condanne pesanti quelle chieste ottenute dal pm Roberto Di Palma nel procedimento Xenopolis, scaturito dall’inchiesta che ha svelato l’ingerenza del clan Alvaro nelle istituzio…

Pubblicato il: 16/12/2014 – 17:44
Xenopolis, condannati i cugini Alvaro e l'ex sindaco di San Procopio

REGGIO CALABRIA Sono condanne pesanti quelle chieste ottenute dal pm Roberto Di Palma nel procedimento Xenopolis, scaturito dall’inchiesta che ha svelato l’ingerenza del clan Alvaro nelle istituzioni del centro aspromontano. Il gup di Reggio Calabria ha condannato a 9 anni il boss Cosimo Alvaro, già punito con 19 anni e 7 mesi nel procedimento Meta, mentre è di 7 anni la pena inflitta al cugino, Domenico Alvaro. Una nuova condanna importante arriva anche all’indirizzo di Rocco Palermo, in passato già condannato a 8 anni per intestazione fittizia aggravata dal metodo mafioso, cui oggi si aggiungono altri 7 anni per concorso esterno. Medesimo reato e medesima pena per cui è stato condannato anche Giasone Italiano, imprenditore già in passato coinvolto in diverse inchieste e sempre sfuggito a processi e condanne, ma oggi inchiodato dall’indagine del pm Di Palma, che ha fatto luce sull’evoluzione economica e politica degli interessi del clan Alvaro.
Una famiglia «mafiosa doc» – la definiva il gip Tommasina Cotroneo nell’ordinanza di custodia cautelare – «che ha rapporti con le altre famiglie mafiose come emerge dalle sentenze passate in giudicato e non». Una «mafia storica» per il gip che è in grado di riprodurre tutti gli indici che per la giurisprudenza indicano l’esistenza di un’associazione mafiosa, «dalla paura della gente tale da non richiedere violenza, alle violenze sistematiche che tale paura hanno sedimentato a tali livelli da determinare terrore il solo nome del gruppo, alla organizzazione gerarchica complessa con mezzi e uomini, alle attività e finalità non singole ma massicce e capillari su tutti i negozi e tutti gli appalti, alla pubblica amministrazione e alla politica che si tenta di deviare, subornare, influenzare ed infiltrare».

Ma per il gip Cotroneo, il clan Alvaro è soprattutto «mafia vera perché si ritiene padrona piena ed esclusiva del territorio, con tutti i relativi poteri. È mafia che vive anche del “prestigio” dei capostipiti mitici, intatto anche con la detenzione, per come emergente dalla serie di dichiarazioni incrociate di collaboratori che dipingono prestigio, alleanze, potere ricattatorio e capacità e possibilità di comunicare determinazioni dal carcere».
Tutte caratteristiche dell’associazione che non sarebbero scomparse con la morte di don Mico Alvaro, storico boss che ha avuto un ruolo fondamentale anche nella negoziazione che ha messo fine alla seconda guerra di ‘ndrangheta di Reggio. A raccogliere il bastone del comando sarebbe stato infatti il figlio Cosimo Alvaro, insieme al cugino Cosimo Alvaro, entrambi condannati a lunghe pene detentive. Anche in ragione del ruolo di paciere svolto dal patriarca Don Mico, sono stati loro – ha dimostrato l’inchiesta Xenopolis – a riscuotere il “credito” ottenuto con quella storica mediazione, estendendo il raggio d’azione del clan dal piccolo centro aspromontano alla città.

E se ad Antonio sarebbe toccato “in dote” San Procopio, è a Reggio – città che Cosimo Alvaro aveva scelto come domicilio quando la sorveglianza speciale gli ha interdetto per tre anni il soggiorno a Sinopoli – che il figlio maggiore di don Mico sarebbe riuscito a mettere le mani su diverse attività imprenditoriali, che non si limitano a quelle che gli sono costate una pesante condanna nel processo Meta, ma che includono anche il noto bar Crystal. Il cugino Antonio, invece, grazie al supporto degli imprenditori Giasone Italiano e Domenico Laurendi, sarebbe riuscito a infiltrarsi nelle attività imprenditoriali nella provincia di Reggio Calabria, non solo nel settore dell’edilizia e della manutenzione stradale, ma anche dei lavori sulla rete del gas, attraverso sub-appalti o l’impiego di operai “sponsorizzati” dalla medesima cosca.

Ma con Cosimo obbligato a stare lontano da Sinopoli, al cugino Antonio sarebbe spettata anche – ha dimostrato l’inchiesta Xenopolis – la vera e propria “gestione” della vita politica e amministrativa del piccolo centro aspromontano, drogata non solo con l’elezione dei candidati imposti dal clan, come l’ex sindaco Rocco Palermo. «Rocco Palermo – aveva sottolineato al riguardo il pm Di Palma in sede di requisitoria – è un soggetto che tutto è tranne che un sindaco equidistante che lavora per il bene della collettività. L’unica equidistanza che riesce a mantenere è quella fra i due rappresentanti della cosca. Il suo compito è quello di fare contenti gli uni e gli altri e quando si rende conto che non ci sta riuscendo, si dice disposto a dimettersi. È l’uomo della famiglia Alvaro nell’amministrazione pubblica e poco importa che non sia il sindaco di una grande città, perché quando si mette la fascia tricolore Rocco Palermo rappresenta l’istituzione. Vorrei davvero sapere cosa ne pensano gli altri abitanti di San Procopio del comportamento del sindaco totalmente asservito al clan Alvaro». Una domanda allo stato rimasta senza risposta, mentre chiaro e forte è arrivato il responso del gup, per il quale sono tutti, senza eccezione, colpevoli dei reati loro ascritti.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x