COSENZA Il “More”, residenza teatrale del teatro “Morelli” curato dalla compagnia “Scena Verticale”, saluta la sua stagione musicale prima della pausa natalizia con i Dedalus, band cosentina presente sul territorio già da quarant’anni. Per l’esibizione di ieri sera, sono stati scelti brani delle produzioni precedenti, ma anche quelli della loro ultima uscita “Ammasca”. È proprio su questi pezzi che il pubblico in platea ha avuto maggiore curiosità. Una lingua impossibile da comprendere che si fonde con le musicalità popolari della tarantella, elemento strutturale della loro produzione. «”Ammasca” significa “parla” – spiega Franco Caccuri, basso del gruppo –. “Ammascante” era utilizzato da alcune comunità artigiane dei lavoratori di rame che dal Medioevo in poi si sono stabiliti in alcune parti d’Italia, tra cui in Calabria, a Cosenza nella zona di Pignano. C’era questa élite, molto ricca e facoltosa e gelosissima dei segreti del proprio mestiere, che si è inventata questo linguaggio criptico per poter comunicare tra loro senza essere capiti da altri. John Trumper, glottologo dell’università della Calabria, impegnato nella ricerca sulle lingue madri, ha trovato questo idioma e ha fatto un dizionario. Abbiamo fatto un lavoro collettivo di musica, letteratura e anche poesia, contattato un poeta che, in ammascante, ha scritto dei versi. Noi li abbiamo musicati e John Trumper ha scritto il dizionario. Abbiamo fatto un cofanetto che comprende cd, il libro e il dizionario. Abbiamo partecipato al premio Tenco e siamo arrivati in finale».
Sedici traccie musicali e la lettura di nove brani scritti dal compianto Enzo Costabile, eseguite dai componeti che hanno fatto la storia del gruppo: Mario Artese (voce e chitarra battente), Sergio Artese (voce recitante), Franco Caccuri (basso), Paola Dattis (voce), Checco Pallone (tamburi a cornice e chitarre), Giuseppe Pallone (mandola e mandolino), Fabio Pepe (flauto e strumentazione midi). A dare il via al concerto è proprio Sergio Artese che, seduto dietro un tavolo su cui poggia i gomiti, legge “Mio Sud”. Davanti a lui una bottiglia di vino e un bicchiere da cui ne beve un sorso dopo la lettura del testo. Checco Pallone, inizierà la maggior parte dei brani musicali con l’aiuto di un loop, una sorta di registratore che memorizza sul momento le battute ritmiche e continua a farle risuonare nella sala, mentre, in mano, ha già la chitarra. La musica in ammascante ripercorre in note ciò che Artese ha letto poco prima. I temi trattati sono «i problemi del Medioevo che in Calabria sono gli stessi di adesso, non è cambiato nulla – continua Caccuri –. Il lavoro, il disagio sociale, il tema del lavoro che non c’è, ma anche la ninna nanna per un bambino che non riusce a dormire».
“Rituale” a chiusura concerto, per poi brindare «alla salute» del pubblico. Questa volta i bicchieri colmi di vino sono sette.
Miriam Guinea
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