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Lo Stato-mafia

Il percorso delle mafie italiane si è compiuto. Dopo 163 anni di storia unitaria, le mafie hanno finalmente raggiunto gli obiettivi prefissati. Si sono impadronite dell’Italia, della sua economia, …

Pubblicato il: 18/12/2014 – 11:54

Il percorso delle mafie italiane si è compiuto. Dopo 163 anni di storia unitaria, le mafie hanno finalmente raggiunto gli obiettivi prefissati. Si sono impadronite dell’Italia, della sua economia, delle sue istituzioni, della sua cultura.
Da giorni stampa e televisione, non fanno che parlare dell’operazione “Mafia capitale” della Dda di Roma, ma l’impressione che se ne trae è duplice: la grande, intollerabile, sfrontata, ipocrisia della classe politica, che sia o meno coinvolta nelle oscene vicende messe alla luce dalle indagini dei carabinieri del Ros; il tentativo dei commentatori, giornalisti, editorialisti, di minimizzare, ridimensionare lo scandalo a fenomeno locale, tipico della città di Roma, dei suoi antichi vizi e delle sue scarse virtù, delle caratteristiche, si sa, rilassate, di un ceto politico, solo locale naturalmente, propenso al “magna-magna”, al “volemose bene”, dunque fenomeno certo grave, ma eccezionale, riducibile a situazioni ambientali particolari, a poche mele marce, guarda caso tutte concentrate in Campidoglio, nel vasto mare di correttezza, onestà, rettitudine specchiata che regna nel Paese. In verità, le caratteristiche locali sono irrilevanti: ogni mafia ha il suo folklore (e sia consentito aggiungere, tra tutte, quello romanesco è il più povero di tradizione e suggestione). Altri generosi sforzi sono poi concentrati nel sostenere che, in ogni caso, non si tratta di mafia vera e propria, che Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra non c’entrano per nulla, e che anche la criminalità, se c’è, è quella borgatara, di pochi reduci degli anni di piombo, provenienti da ambiti criminali, la banda della Magliana, ormai scomparsi. Quanto poi alla possibilità che il consiglio di Roma capitale possa essere sciolto perché infiltrato da Mafia-capitale, manco a parlarne. Non se ne parla proprio.
La verità è che sciogliere il Comune di Roma per mafia, anche se i presupposti di legge ci sono tutti, equivarrebbe a riconoscere che l’Italia intera, dalle Alpi a capo Passero dovrebbe essere sciolta per mafia. Per la verità non vi è bisogno che intervenga un atto di governo. L’Italia si sta, di fatto, sciogliendo per mafia, da sola, tutta intera. Nel numero 2/2012 della rivista di geo-politica Limes, venne pubblicato un breve saggio dal titolo “Siamo destinati a diventare uno Stato-mafia”. Badate bene, non si diceva che vi era il pericolo che l’Italia possa divenire … etc, no, si diceva che è destino dell’Italia divenire, anche abbastanza rapidamente, uno Stato-mafia. Quando si realizza questa condizione? Non certo per la presenza al suo interno di mafie organizzate, che inquinano e condizionano lo Stato, no, occorre che lo Stato abbia assunto il metodo mafioso come metodo di governo, nel quale sono le mafie a governare, più o meno direttamente, e lo Stato a prestare le proprie strutture e le proprie risorse per le esigenze del governo mafioso.
L’operazione “Mafia capitale” ci offre l’anteprima mondiale del prossimo scenario che attende il nostro Paese e ce lo offre nel luogo simbolo, nella capitale, caput mundi, sede del Vaticano e della Chiesa cattolica universale, del governo e del Parlamento, della Presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale, della Fao e delle ambasciate, ecc. ecc. Naturalmente, e qui sta l’ipocrisia di cui parlavo, nessuno si era accorto di niente. C’è chi preferisce atteggiarsi a indignato, promette drastiche misure punitive, ma nello stesso giorno in cui pronuncia ad alta voce simili annunci di guerra al malaffare, il Senato rifiuta di autorizzare la Procura della Repubblica di Trani a usare le intercettazioni come elemento di prova in uno dei tanti processi che vedono indagato un parlamentare, così dimostrando che l’impunità del potere continuerà a essere difesa sino in fondo. Finge sconcerto e sorpresa, come se non avesse mai letto i giornali che da almeno due anni avevano informato i lettori circa l’esistenza di una mafia romana, con tanto di nome e cognome dei suoi capi (i quattro re di Roma), i suoi collegamenti, le sue protezioni internazionali. Altri invece ritengono preferibile atteggiarsi a sprovveduti e confessano, contriti, che sì è vero, tutto si svolgeva intorno a loro, ma loro non sapevano, non capivano, non pensavano… Che poi le mafie, quelle tradizionali, non abbiano nulla a che fare con le vicende romane, è una conclusione affrettata e assai rischiosa. Come vedremo da qui a qualche giorno, il ruolo delle mafie a Roma c’è stato, c’è e ci sarà ancora. Anche nella Capitale, come a Milano, i prefetti negavano e protestavano davanti a ciò che i magistrati vedevano e descrivevano. Ma così è andata nei decenni passati in tutta Italia e non è il caso di sorprendersi.
La forza delle mafie nella storia del nostro Paese è consistita anche nella sua capacità di nascondersi, con il sostegno dei complici e dei cretini (nel suo libro “La Convergenza”, Nando Dalla Chiesa, qualche anno fa, individuava nella logica del cretino il problema di chi non capisce, di una classe dirigente che non comprende, così favorendo la mafia), ma, nello stesso tempo, di manifestarsi apertamente per affermare il proprio dominio con l’uso della violenza e della corruzione. L’indagine non ha ancora evidenziato tutti i suoi risultati, ma accanto al prevedibile, prossimo, coinvolgimento di nuovi esponenti della politica e delle istituzioni, faranno la loro comparsa i profili di esponenti mafiosi con marchio Doc, appartenenti a cosche mafiose già presenti a Roma dagli anni 70 del secolo scorso e ancora di più in questi anni. Ci sarebbe da sorprendersi se non fosse così.
La totale ignoranza del passato, che caratterizza buona parte della classe politica (in compenso attrezzatissima in comunicazioni telematiche di livello infantile), impedisce loro di collegare il presente e la storia recente del nostro paese. Se la cultura glielo avesse consentito, saprebbero che la situazione attuale è la prosecuzione del passato, si collega direttamente agli anni 70, allorché a Roma si incrociavano le attività di Pippo Calò, emissario di Cosa nostra, di Casillo della camorra, degli esponenti più in vista della ‘ndrangheta, tra i quali De Stefano, Condello, Libri, Piromalli, Mammoliti, Papalia, D’Agostino, della banda della Magliana all’epoca del suo massimo vigore, e della destra eversiva. All’epoca tutte le agenzie criminali del Paese erano mobilitate da massoneria, servizi di sicurezza nazionali e internazionali, nella realizzazione della strategia della tensione e nella partecipazione diretta e indiretta agli episodi più cruenti di quella tristissima fase storica del nostro Paese. Questo ciclo di comune attività ebbe fine con il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, ovvero con il colpo di Stato che pose fine ad un ciclo politico e ne aprì uno nuovo, di cui quello presente si pone in ideale continuazione. Questo non equivale al pensionamento di quei personaggi criminali e di quelle bande. Concluse le antiche pendenze giudiziarie e scontate le condanne riportate, le loro attività ripresero, prima negli anni 92-93 intorno ai progetti stragisti e separatisti che caratterizzarono quegli anni, quindi, nel nuovo millennio, nella partecipazione diretta o indiretta al sistema di potere che si affermò in Italia per circa un ventennio, con insignificanti interruzioni, che non provarono neppure a interromperne la logica e la continuità. Ebbe nuovo impulso la cooptazione di mafie, di reduci del terrorismo e dell’eversione, delle vecchie bande armate, dei trafficanti di droga, nel sistema imprenditoriale pubblico e privato, nelle amministrazioni locali, nel governo e sottogoverno delle aziende municipali, delle società partecipate, nei partiti, nelle istituzioni. Si ricrearono le vecchie alleanze, le complicità, le contiguità con poteri occulti. Per rappresentare la continuità con il passato c’è un luogo, oggi come allora luogo di incontro, crocevia di traffici illeciti, il grattacielo dell’Eur, denominato per la sua forma “Il fungo”. Qualcuno ricorderà come proprio nel ristorante posto all’ultimo piano di quel grattacielo, con vista pan
oramica sulla città, si svolse il summit, interrotto dalla squadra mobile di Roma il 18 ottobre del 1975, che vedeva riuniti Pasquale Condello, Giuseppe Piromalli, Paolo De Stefano, Giuseppe Nardi, Gianfranco Urbani, detto “il pantera” e Manlio Vitale (i primi tre esponenti della ‘ndrangheta, gli altri della banda della Magliana). E anche nel corso delle recenti indagini, quel luogo continua ad essere uno dei luoghi preferiti da Carminati e soci per le loro losche attività. C’è un altro punto in comune, sicuramente più importante del precedente, il ruolo che tali aggregati criminali avevano già quarant’anni addietro nel traffico della cocaina e che tuttora detengono.
Recenti servizi televisivi hanno consentito di prendere conoscenza del fiume di cocaina che scorre nella città, dei luoghi di spaccio, degli enormi profitti assicurati alla ‘ndrangheta, egemone, come è noto, nel settore. Una pallida idea di tali profitti può trarsi dai sequestri e confische degli ultimi cinque anni di immobili, ristoranti, alberghi posti nei luoghi più belli della capitale, acquistati e gestiti dalle cosche calabresi degli Alvaro, Parrello, Gallico, Mancuso e altre ancora. L’economia della proibizione continua a generare profitti e non solo per i trafficanti di droga, ma per tutti coloro che dalla proibizione traggono rendite economiche, politiche, istituzionali. Passando ad altro settore, già alcuni anni fa era stato individuato il rapporto tra reduci della destra eversiva e ‘ndrangheta in occasione dell’indagine che portò all’arresto del senatore Nicola Di Girolamo, eletto all’estero con i voti della ‘ndrangheta in Germania (cosca Arena), grazie alla mediazione di Gennaro Mokbel. Quelle indagini avevano già consentito di intravedere le infiltrazioni di interessi criminali dentro Finmeccanica, la più grande holding industriale italiana, di interesse strategico per il Paese.
Oggi, le nuove indagini riprendono quel filone investigativo, ne confermano la validità, ne impongono il proseguimento. In un momento di crisi economica devastante per decine di milioni di italiani, di disoccupazione crescente, di sfiducia nelle istituzioni e nella politica, giunge notizia che criminali, corrotti e corruttori hanno messo in piedi una struttura associativa per drenare centinaia di milioni di euro di pubbliche risorse per arricchimento personale. La violenza e l’intimidazione si coniugano con la pratica corruttiva divenuta sistema strutturato. L’ipocrisia della politica prosegue impudica allorché dichiara che la presunzione di innocenza impedisce di dare giudizi sulla responsabilità dei politici coinvolti, compito che spetta alla magistratura, alla quale si sollecita rapida definizione del processo. Salvo poi accusarla di supplenza indebita nel caso venisse toccato il personaggio sbagliato. Il ritardo nella modifica della prescrizione consentirà anche questa volta che una parte dei reati accertati in questa indagine resteranno impuniti. A qualcuno verrà mai il dubbio che qualche decreto legge dedicato alla lotta alla criminalità, alla corruzione, sia assai più urgente di quelli ai quali si è alacremente dedicato il governo nel corso dell’anno?

 

*magistrato

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