ROMA Ufficialmente lo strappo si consuma sull’incardinamento della discussione sulla riforma elettorale. Molto più concretamente i senatori Gentile, Aiello e Bilardi, non prendendo parte, la notte scorsa, al voto che fissa al 7 gennaio l’inizio della discussione sull’Italicum, hanno voluto mandare l’ennesimo segnale ad Alfano e Quagliariello: in Calabria il Nuovo centrodestra non può restare con le pive nel sacco. Tradotto dal politichese: aprite a Roma i canali giusti per far sì che giù si possa avviare una collaborazione con il Pd di Mario Oliverio. Che sia un’intesa politica o istituzionale, poi si vedrà. L’importante – è il ragionamento che viene fatto ai piani alti del Nuovo centrodestra calabrese – è non rimanere tagliati fuori da ogni discorso dopo aver superato le forche caudine delle elezioni (quando in molti pronosticavano un flop della coalizione centrista Ncd-Udc) e aver conquistato tre seggi nel nuovo consiglio regionale.
Il problema (per Ncd) è che Oliverio proprio non vuole sentirne parlare di un accordo con gli alfaniani e continua a rispedire al mittente ogni offerta di dialogo. «I calabresi mi hanno affidato il compito di guidare la Regione con questa coalizione e io non intendo venire meno al mandato ricevuto», non si stanca di ripetere il governatore. Che in queste ore è concentrato più che altro su altre questioni come la riforma dello Statuto e una ricognizione sullo stato dei fondi comunitari.
Tornando ai mal di pancia notturni di Palazzo Madama, i senatori ribelli fanno osservare che manca la ragione politica di tanta fretta. Tra l’altro la linea del partito è sempre stata quella di evitare forzature e di chiedere al premier Renzi di incardinare la legge elettorale dopo le feste, si sarebbe fatto notare. Così il cambio improvviso ha spiazzato. I rappresentanti di Ncd si sarebbero confrontati in una accesa riunione iniziata intorno alle 5.30 di ieri mattina, nella quale sarebbe stata contestata vivacemente la linea politica di favorire l’incardinamento dell’Italicum e terminata con la decisione di poco meno di una ventina di loro di non partecipare al voto sul calendario dei lavori dell’assemblea, che contiene anche la riforma della legge elettorale, a partire dal 7 gennaio.
Di qui la scelta di disertare il voto. Oltre a Gentile, Aiello e Bilardi hanno lasciato l’Aula anche Viceconte, Esposito, Pagano, Torrisi, Colucci, Giovanardi e Bonaiuti. Se non siamo di fronte a una fronda interna, poco ci manca.
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it
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