Va bene che «la fretta è una cattiva consigliera» e che «il presto e il bene non vanno insieme». E ancora, non guasta tenere in buon conto che «chi va piano, va sano e va lontano» ovvero che (ricorrendo ad una sorta di prevenzione veterinaria) «la gatta frettolosa fece i gattini ciechi». Ma che debbano passare (per come sembra di capire) oltre due mesi per avere un governo regionale è un po’ troppo. Specie se si considera che in Emilia-Romagna – che non ha i nostri problemi e tante difficoltà in meno nel gestire la macchina regionale – il presidente sta governando con la sua squadra al completo che ha già deliberato il necessario prima della fine dell’anno.
Dunque, facciamo le cose a dovere, senza fretta ma non esageriamo, rischieremmo che qualcuno dica il vero ricorrendo ad un altro proverbio: «Mentre i medici discutono i malati muoiono». E sì, perché la Calabria, così come ridotta, è moribonda!
Una Regione (l’ente) che dovrebbe governare una regione come la nostra ha bisogno di due cose. La prima, l’ha già conseguita elettoralmente con un presidente e un consiglio regionale presuntivamente autorevoli, iuris tantum.
La seconda è tutta da creare, sulla base dei programmi che la politica si è data (si spera) in ossequioso silenzio, atteso che nessuno li conosce.
Come un buon padre di famiglia, il presidente Oliverio deve essere capace di scegliere, dirigere e mettere in gioco la sua faccia per il benessere del calabresi. Per farlo dovrà avere coraggio e vista lunga. Avrà l’onere di acquisire le conoscenze indispensabili per mandare avanti l’Ente più difficile da governare. Non saranno sufficienti allo scopo le “maestranze” importate dal suo ente di origine (la Provincia bruzia) né tampoco quelle ereditate unitamente al suo ente di destinazione, spesso causa di malfunzionamenti. Un compito difficile ma non impossibile. Preliminarmente dovrà fare di tutto per evitare di rimanere vittima del ben noto «dilemma del grande capo» di origine tribalica, più esattamente in uso presso gli Ashanti. Quel dilemma che affligge gli alti dirigenti che «possono avere successo solo utilizzando dei dipendenti capaci, ma più sono capaci i dipendenti, più costituiscono un pericolo per la loro sopravvivenza al vertice». Un limite comportamentale che fa la differenza tra una organizzazione di successo e un’altra destinata a fallire la propria mission. Una regola generale della quale non tenere conto non solo snelle scelte più immediate, riguardante la composizione del governo regionale e della sua organizzazione dipartimentale, ma anche nella individuazione dei manager della salute, dai quali dipenderanno le sorti assistenziali dei calabresi. Un compito difficile, quest’ultimo, da condividersi con il commissario ad acta tecnico che – prescindendo dalle diverse e pregevoli letture in circolazione – non potrà che essere tale.
Sulla scelta dei dirigenti in senso lato, una grande attenzione ma soprattutto una cautela. Occorre non confondere la fiduciarietà che caratterizza la scelta con la loro sottomissione. Il loro compito di gestire in autonomia dirigenziale che la legge attribuisce loro non può essere in alcuno modo compromesso dalla politica. Ovviamente anche ai dirigenti eletti spetterà esercitare con fierezza e autonomia i loro compiti istituzionali, pena la generazione del solito frullato che assicura abusi da ambo le parti.
In relazione al vissuto postelettorale, è utile fare qualche riflessione sull’isolamento decisionale che sta caratterizzando i primi comportamenti governatoriali. È, infatti, indispensabile capire se ciò che il governatore sta facendo sia giusto ovvero sbagliato.
La tipologia delle elezioni regionali è per alcuni versi assimilabile a quella del sindaco e per altri versi unica. In entrambe le situazioni: chi vince governa per tutta la durata del mandato (per i sindaci) e della legislatura regionale. Sempre che ci sia un Consiglio in grado di approvare ciò che indispensabile nonché di condividere criticamente l’operato del governo locale/regionale.
La differenza tra il sindacato (nei Comuni) e il governatorato regionale poggia sui ruoli e sulle competenze esercitati dai rispettivi enti territoriali a mente della Costituzione.
Nel mentre il massimo consesso, fatte le dovute eccezioni e i particolari appuntamenti istituzionali, negli enti locali (Provincia compresa) è essenzialmente un sito di ratifica delle decisioni amministrative giuntali, quello regionale è l’organo centrale, il reale protagonista dell’Istituzione. Esercita invero la competenza legislativa e quella regolamentare, ad eccezione di quella rimessa e/o delegata dal medesimo all’esecutivo.
Un compito che va esercitato con dovizia e competenza per avviare e portare a buon fine la trasformazione della Regione da ente tutto fare ad istituzione agile e leggera che rimetta l’amministrazione in capo ai comuni veri centri decisori per soddisfare il fabbisogno sociale.
Dunque, una maggiore cura al patrimonio uscito dalle urne, a che i consiglieri eletti si rendano diligentemente partecipi, per competenza e aspirazione, a produrre atti normativi corretti e non più maltrattabili dalla Consulta funzionali ad assicurare ai calabresi l’esigibilità dei loro diritti.
Per ultimo, la relazione di inizio legislatura – da insediare nello Statuto unitamente a quella finale – è un adempimento ineludibile, per separare le responsabilità vecchie da quelle nuove ma anche per potersi misurare con la collettività sia infra che alla fine della legislatura.
*Docente Unical
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